Nulla osta alla possibilità di riconoscere piena legittimità al rapporto di lavoro tra familiari anche subordinato, purché vengano dimostrati gli indici oggettivi che consentono di riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico nella organizzazione aziendale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 4535 del 27 febbraio 2018, che rende a questo punto consolidato l’orientamento che vuole lecito il lavoro tra familiari. Si tratta di una realtà molto viva e diffusa nel tessuto economico del nostro Paese che mira a dare continuità alla gestione delle aziende nonché al tramandarsi dei mestieri. Vediamo nel dettaglio i passaggi fondamentali della sentenza.
Cassazione-INPS: pareri contrastanti sul lavoro familiare
Quello del lavoro tra familiari è uno dei punti più controversi da gestire per un Consulente del lavoro. La difficoltà risiede nella mancata uniformità di pensiero tra INPS e Corte di Cassazione circa la liceità di inserimento di un parente nella ditta di famiglia. L’INPS, infatti, da anni ritiene che il lavoro familiare quale è considerate quale strumento di dissimulazione per garantire una mera prestazione pensionistica.
Le conseguenze sono disastrose: gli ispettori spesso tendono a disconoscere il rapporto di lavoro tra familiari, pur in assenza di una norma che vieti esplicitamente al datore di lavoro di assumere un proprio familiare. E questo succede anche quando il datore di lavoro è una società. La motivazione sta nel fatto che l’INPS basa tutto sulla presunzione di gratuità della prestazione tra familiari, ammesso in alcuni casi previsti dalla legge.
È lecito il rapporto di lavoro tra parenti? Ecco cosa dice la Cassazione
Di diverso avviso è la Corte di Cassazione. E non solo: ma anche il Ministero del Lavoro e l’Ispettorato nazionale del lavoro. Ultima decisione della Suprema Corte sul tema, che porta quindi a consolidare sempre di più l’orientamento giurisprudenziale, si è avuta con la sentenza n. 4535/2018 che dà nuovamente torto al parere INPS.
Infatti, gli ermellini affermano che in presenza di indici oggettivi che consentono di riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico nella organizzazione aziendale nulla osta alla possibilità di riconoscere piena legittimità al rapporto di lavoro subordinato anche tra familiari. È dunque sbagliato basarsi sulle presunzioni spesso contenuti nei verbali ispettivi dell’INPS, che tendono sempre di più a negare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
Quali sono i parametri che fanno scattare al liceità del lavoro tra familiari?
È chiaro che la subordinazione nel rapporto di lavoro tra familiari è lecita se si verificano determinati indici, quali:
- l’onerosità della prestazione;
- la presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto;
- l’osservanza di un orario (nella fattispecie coincidente con l’apertura al pubblico dell’attività commerciale);
- il “programmatico valersi da parte del titolare della prestazione lavorativa” (del familiare);
- la corresponsione di un compenso a cadenze fisse.
Quindi, solo in presenza dei predetti indici il rapporto di lavoro si può effettivamente ritenere di tipo subordinato, a prescindere dall’appartenenza allo stesso nucleo di famiglia.
Approfondimento della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro
Con l’approfondimento del 7 maggio 2018, che alleghiamo per la consultazione, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro va ad analizzare la sentenza della Cassazione e le motivazioni alla base della decisione della suprema corte. In particolare l’approfondimento si sofferma sugli indici oggettivi per riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico aziendale.
Approfondimento Fondazione Studi 07-05-2018 (1,6 MiB, 1.477 hits)
Fonte: Fondazione Studi