Una delle questioni più annose nel diritto del lavoro è proprio quella di stabilire la demarcazione tra lavoro autonomo o subordinato. Nel concreto svolgimento dei rapporti di lavoro, spesso lo strumento dei co.co.co è stato utilizzato per eludere le normative sul lavoro subordinato.
Per evitare l’utilizzo fraudolento di tali rapporti il legislatore con il D.Lgv. 276/2003 ha introdotto il lavoro a progetto, contratto a cui devono essere ricondotti i rapporti di collaborazione con un datore di lavoro diversi dalla subordinazione. Il D.Lgv. 276/03 stabilisce che i rapporti di collaborazione coordinata e continuata, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici e programmi di lavoro, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art.61).
Lavoro autonomo o subordinato
Tale previsione, si traduce nel divieto di rapporti di co.co.co. atipici, cioè stipulati senza l’osservanza della disciplina del lavoro a progetto. Ciò significa che nel caso in cui non sussista un progetto o programma di lavoro, il rapporto si presume di natura subordinata e a tempo indeterminato sin dal momento in cui esso è iniziato.
Inoltre, nel caso in cui venga accertato in giudizio che il rapporto si è effettivamente svolto nelle modalità di lavoro subordinato, il rapporto a progetto si trasforma in rapporto di lavoro subordinato.
Quali sono quindi i parametri che stinguono il lavoro subordinato da quello autonomo? E come deve in pratica svolgersi una collaborazione a progetto per non essere convertita dal giudice in un contratto a tempo indeterminato? La risposta viene della Suprema Corte sezione lavoro che, con la sentenza nr. 9812/2008 ha convertito in lavoro subordinato una serie di contratti a progetto aventi ad oggetto attività di call center.
Il giudizio nasceva da un ricorso proposto da una società di servizi del Nord-Est, avverso una multa comminata dall’INPS la quale, aveva accertato la natura subordinata del lavoro svolto da alcune dipendenti della ditta, nell’attività di call center. Il Tribunale di prime cure, aveva accolto il ricorso della società, stabilendo la natura autonoma del lavoro prestato dalla ragazze lavoratrici. Non dello stesso avviso, la Corte d’appello di Venezia che, invece, aveva riconosciuto come subordinato il lavoro delle dipendenti.
Lavoro autonomo o subordinato: conclusioni della Cassazione
La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello ritenendo corretta la qualifica del giudice d’appello di lavoro subordinato e non autonomo delle prestazioni svolte dalle operatici del call center della società. Gli ermellini hanno infatti stabilito che, sussiste rapporto di subordinazione nel caso in cui il lavoratore segua le direttive impartite dall’azienda, rispetti orari precisi e utilizzi attrezzature e materiale di proprietà della Società. Di conseguenza, i suddetti lavoratori debbono essere considerati dipendenti con tutti i diritti che ne conseguono quindi, anche e soprattutto quelli previdenziali.
La Cassazione ha osservato che “secondo la giurisprudenza costante di questa Corte l’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro ed il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione aziendale” e che “costituiscono indici sintomatici della subordinazione, valutabili dal giudice di merito sia singolarmente che complessivamente, l’assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione del datore di lavoro”.
Infine la Suprema Corte ha precisato che i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali o dagli ispettori del lavoro possono costituire prova sufficiente delle circostanze riferite dai lavoratori al pubblico ufficiale; questo qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso di altri elementi renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori”.
Di seguito la versione integrale della sentenza:
Cassazione sent 9812 del 2008 (16,0 KiB, 7.164 hits)