Una importante notizia arriva dalla Corte Costituzionale in tema di Jobs Act e indennità di licenziamento. Per la Consulta è illegittimo il calcolo basato esclusivamente sull’anzianità di servizio del lavoratore per la quantificazione dell’indennità di licenziamento nei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, come stabilito dalla riforma del lavoro Renzi – Poletti.
In particolare la Corte ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n. 23/2015 sul contratto di lavoro a tutele crescenti, nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore licenziato ingiustificatamente. Lo stesso articolo è stato in seguito novellato dal Decreto Dignità (Decreto-legge 87/2018), che ne ha aumentato gli importi minimi e massimi; ma neanche questa nuova previsione ha modificato l’impianto rigido originale giudicato illegittimo dalla Consulta.
Il testo completo della sentenza sarà pubblicato nelle prossime settimane; al momento basandoci solo sul comunicato stampa diramato dalla Consulta possiamo già trarre alcune considerazione.
Al momento non è in discussione il principio cardine del licenziamento nel contratto di lavoro a tutele crescenti così come previsto nel Jobs Act. Quindi non si tornerà alla tutela reale ovvero alla reintegra al posto del risarcimento di tipo economico; continuano cioè ad esistere le tutele crescenti per tutti i contratti a tempo indeterminato stipulati a partire dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore della norma.
Per la Corte è invece illegittimo il criterio di calcolo di questo risarcimento, che è basato esclusivamente sulla anzianità di servizio del lavoratore. Questo criterio, secondo l’organo di garanzia costituzionale, contrasta con i principi di ragionevolezza e uguaglianza e con il diritto del lavoro sanciti dagli art. 4 e 35 della Costituzione. A questo punto è pertanto lecito pensare che si potrebbe tornare alla situazione in cui il giudice di merito deciderà caso per caso l’importo di questa indennità risarcitoria.
Indennità di licenziamento dal Jobs Act al Decreto Dignità
Facendo un breve excursus relativamente all’indennità di licenziamento ricordiamo che questa è stata introdotta dal Jobs Act (articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n. 23/2015). Di recente il Decreto Dignità è intervenuto sull’indennità risarcitoria per i casi in cui il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa, giustificato motivo soggettivo o oggettivo.
In queste ipotesi nel Jobs Act nei casi di licenziamento ingiustificato in aziende sopra i 15 dipendenti si dichiara estinto il rapporto di lavoro e si condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria non soggetta a contributi previdenziali pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità. Il Decreto Dignità ha elevato l’importo minimo del risarcimento da 4 a 6 mensilità e il tetto massimo passa da 24 a 36.
Per le piccole imprese fino a 15 dipendenti, il Jobs Act prevedeva l’estinzione del rapporto e il pagamento di un’indennità risarcitoria; indennità anche qui non soggetta a contribuzione e pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, comunque non inferiore a 2 e non superiore a 6 mensilità. Il Decreto Dignità alza l’ammontare minimo a 3 mensilità, mentre lascia invariato il tetto massimo.
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Jobs Act: illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento
In conclusione per i giudici di legittimità dichiarano è illegittimo l’articolo 3, comma 1, del D. lgs 23/2015 nella parte che determina in modo rigido l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. Tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono invece state dichiarate inammissibili o infondate.
Questo il testo del comunicato stampa rilasciato il 26 settembre dalla Consulta.
Comunicato stampa Corte Costituzionale 26 settembre 2018 (127,9 KiB, 601 hits)