Con l’ordinanza n. 28255 del 4 novembre 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito un importante principio in materia di rapporti di lavoro e infortunio. Secondo quanto affermato, non possono costituire motivo di licenziamento le attività svolte da un dipendente durante un’assenza per infortunio, a meno che non vi siano indicazioni mediche precise che evidenzino un pregiudizio al recupero fisico del lavoratore.
Il punto cardine della decisione risiede nella tutela della buona fede e del diritto alla convalescenza senza timori di ripercussioni sul posto di lavoro.
Attività vietate durante l’infortunio, cosa dice la Cassazione
La Corte di Cassazione ha definito un principio rilevante per i rapporti di lavoro e i periodi di infortunio. In sostanza, le attività svolte da un dipendente durante la convalescenza non possono giustificare un licenziamento, a meno che i medici non abbiano fornito indicazioni specifiche che evidenziano un rischio per il recupero fisico del lavoratore. L’aspetto centrale della decisione riguarda la tutela della buona fede del lavoratore e il diritto di recuperare senza il timore di ripercussioni professionali.
Per esempio, un dipendente in convalescenza per un infortunio alla schiena che si dedica ad attività leggere come una passeggiata non può essere licenziato, a meno che i medici non abbiano chiaramente indicato che tali movimenti compromettono il suo recupero.
La Corte ha evidenziato inoltre che non rileva, ai fini del licenziamento, che successivamente siano state imposte al lavoratore specifiche limitazioni nei movimenti da parte del personale medico, se tali indicazioni non erano presenti al momento dell’assenza per infortunio.
Questa pronuncia si inserisce nel contesto delle tutele che il nostro ordinamento riconosce ai lavoratori infortunati, riconoscendo l’importanza del recupero senza indebite pressioni o timori legati alla propria occupazione.
Il datore di lavoro non può agire su presunzioni, ma solo in presenza di elementi medici concreti che dimostrino l’incapacità del lavoratore di rispettare le indicazioni prescritte per il recupero.
Visite fiscali durante l’infortunio?
A tal proposito ricordiamo che un lavoratore che si trova a casa per un infortunio sul lavoro non è soggetto agli obblighi di reperibilità per le visite fiscali come accade invece per le assenze per malattia comune.
L’INAIL ha chiarito che, in caso di infortunio, non vengono effettuati controlli domiciliari e non esistono fasce orarie di reperibilità a cui il lavoratore deve attenersi. Questo perché la competenza in materia di accertamenti e certificazioni spetta esclusivamente all’INAIL, come disposto dall’art. 12 della legge n. 67/1988. L’istituto può eventualmente convocare il lavoratore presso le proprie sedi per visite di controllo, ma non ha facoltà di effettuare verifiche al domicilio.
Anche l’INPS, attraverso il messaggio n. 3265 del 2017, ha ribadito che le visite fiscali non rientrano tra le sue competenze per i lavoratori infortunati, poiché questi accertamenti spettano all’INAIL. Ciò significa che, durante un periodo di infortunio sul lavoro, il dipendente non sarà soggetto a visite fiscali domiciliari, ma potrà essere chiamato a presentarsi presso l’INAIL per valutazioni medico-legali qualora necessario.
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Riassumendo…
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28255 del 4 novembre 2024, ha stabilito che un lavoratore non può essere licenziato per attività svolte durante un’assenza per infortunio, a meno che non vi siano indicazioni mediche specifiche che possano compromettere il recupero fisico. Tale decisione tutela il diritto alla convalescenza senza timori di licenziamento e impone al datore di lavoro di basarsi solo su indicazioni mediche concrete.
Durante un infortunio sul lavoro, inoltre, il dipendente non è soggetto a visite fiscali domiciliari; l’INAIL è l’unico ente competente per eventuali accertamenti, che possono prevedere la convocazione presso le proprie sedi.
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