Con sentenza n. 27057 del 3 dicembre 2013 la Cassazione ha dichiarato che è illegittimo il licenziamento adottato da un Ente Pubblico nei confronti di un dipendente che si è reso irreperibile (con impossibilità ad essere richiamato) durante un periodo di ferie. Il recesso, secondo l’Ente, era legittimo in base all’art. 23 del contratto di comparto e nell’art. 18 del CCNL.
Gli ermellini hanno affermato che dalla lettura dei due articoli contrattuali non si evince ciò che l’ente ha addotto a pretesto del licenziamento, in quanto è vero che il lavoratore ha l’obbligo di comunicare la propria residenza, se diversa dalla dimora abituale (necessaria per inviare eventuali comunicazioni), ma quest’obbligo non può essere imposto durante le ferie, che sono costituzionalmente garantite, articolo 36 della Costituzione comme 3 “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
Le ferie servono proprio al recupero psico-fisico del lavoratore, recupero che sarebbe quasi impossibile se, quotidianamente, si è costretti ad indicare come e dove essere reperibile. Ma anche la lettura dell’art. 18 del CCNL è sbagliata in quanto il datore può ben revocare e spostare in avanti le ferie, ma lo deve fare prima che queste inizino.
Il lavoratore, assunto dal 1991 alle dipendenze del Comune di Revere con contratto a tempo indeterminato come responsabile dell’Ufficio Tecnico è stato licenziato nel 28.10.2005, per assenza ingiustificata. Lo stesso lavoratore impugnava quindi il licenziamento presso il Tribunale di Mantova contestando la legittimità formale e sostanziale del recesso in quanto egli si trovava legittimamente in ferie.
Il Comune si costituiva in giudizio, che contestava quanto dedotto, difendendo la regolarità formale e sostanziale del licenziamento e negando di dovere alcunché come differenze retributive.
Il Tribunale, accoglieva parzialmente le domande, ritenendo illegittimo il licenziamento in quanto l’assenza era giustificata dalla concessione delle ferie, e condannando il Comune alla reintegrazione e al risarcimento del danno ex art. 18 L. 300/70, detratto l’aliunde perceptum, oltre alla corresponsione di una parte degli incentivi richiesti.
Il Comune andava quindi in appello lamentando l’erroneità della sentenza che non aveva tenuto conto del fatto che il licenziamento era seguito a due ordini di riprendere servizio, a cui il dipendente non aveva adempiuto; poiché egli era tenuto, da una precisa norma del contratto collettivo, ad essere reperibile, il fatto che non vi avesse provveduto rendeva automaticamente conosciute tutte le comunicazioni inviategli al domicilio inizialmente dichiarato, benché non ritirate. Il datore di lavoro, infatti, manteneva sempre il potere di revocare le ferie già concesse e il non aver adempiuto all’obbligo di presentarsi al lavoro rendeva illegittima la condotta contestata.
Si costituiva il lavoratore resistendo al gravame e proponendo appello incidentale circa il mancato riconoscimento di taluni compensi aggiuntivi richiesti. Quanto all’appello principale evidenziava che, essendo l’assenza legittima, il dipendente non aveva nessun obbligo di reperibilità durante le ferie. Con sentenza depositata il 2 luglio 2010, la Corte d’appello di Brescia respingeva entrambi i gravami.
Il Comune quindi ricorreva in Cassazione.
La Corte, ha respinto però il ricorso, in quanto “Il lavoratore è infatti libero di scegliere le modalità (e località) di godimento delle ferie che ritenga più utili (salva la diversa questione dell’obbligo di preservare la sua idoneità fisica, Cass. sez.un.n.189282), mentre la reperibilità del lavoratore può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio ma non già del lavoratore in ferie, salvo specifiche difformi pattuizioni individuali o collettive.”