Un altro punto a favore dei lavoratori è stato messo a segno ieri dalla Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza nr 23923 del 10 giugno 2009 con la quale ha statuito che, il capo che stressa il dipendente con un continuo e pressante stillicidio finalizzato a sminuirne le capacita’ professionali deve risarcire il dipendente per i danni patiti.
Questa sentenza segue di pochi mesi, la sentenza nr 6907 del gennaio 2009 con la quale, si condannava l’azienda a risarcire il danno biologico da mobbing ad una lavoratrice che per mesi era stato oggetto di ripetuti rimproveri davanti ai suoi colleghi di lavoro e addirittura licenziata.
Capo che stressa il dipendente: il caso
Con la sentenza del 10 giugno, Piazza Cavour ha respinto il ricorso di un dirigente di un ufficio giudiziario, che sostituiva (tra l’altro) una funzionaria in congedo per maternita’; avverso la condanna emessa dalla Corte d’Appello di Genova al risarcimento dei danni subiti dalla lavoratrice, cancelliere alle sue dipendenze. Infatti, il capo, per cinque mesi aveva avuto atteggiamenti prevaricatori e offensivi dell’onore e del decoro della dipendente, pronunciando al suo indirizzo frasi come: ”lei è una falsa, non finisce qui, gliela farò pagare, è una irresponsabile non si vergogna”.
Nel corso del processo gli stessi colleghi della signora avevano testimoniato come il dirigente avesse avuto un “atteggiamento quotidiano violento, aggressivo, alimentato da intemperanze, gesti di violenza e prevaricazione”. Questi comportamenti avevano provocato in lei “uno stato ansioso depressivo, con tachicardia in stress emotivo”; malattia che imponeva ai medici di prescriverle prima, nel marzo ‘99, sette giorni di cura e riposo e poi nell’aprile del ‘99, altri 15 giorni di riposo e cura.
Capo che stressa il dipendente: la sentenza
Ad avviso dei giudici della Suprema Corte non c’é dubbio che si tratta di mobbing; infatti affermano che ”appare di intuitiva evidenza che, sotto il profilo della prevedibilita’, quel comportamento addebitato al capo potesse sfociare nelle conseguenze lesive lamentate, secondo il parametro di apprezzamento riferibile all’uomo medio, cioè ad un qualsiasi soggetto che, dotato di comuni poteri percettivi e valutativi, intenda doverosamente prefigurarsi la gamma delle possibili conseguenze del suo agire e sia, percio’, indotto ad attivare i suoi conseguenti poteri inibitori’.
In questo modo la quarta sezione penale, pur dichiarando l’intervenuta prescrizione del reato, e quindi abbonando al dirigente per indulto i 20 giorni di carcere a cui era stato condannato nei precedenti gradi di giudizio, ha confermato che il capo, dovra’ comunque risarcire la lavoratrice per i danni arrecategli.
Datori di lavoro siete avvertiti, tenete a bada i vostri istinti prevaricatori, spesso un civile dialogo è più producente di insulti e ingiurie. Il lavoratore ha pari dignità del suo datore!