La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza nr. C- 579/12 pubblicata lo scorso 14 febbraio, decidendo sulla procedura di infrazione aperta nei confronti dello Stato Italiano, ha affermato che la legge nazionale n. 223/1991 recante “norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro” è in contrasto con la Direttiva n. 98/85 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, nella parte in cui esclude dall’ambito di applicazione della procedura di licenziamento collettivo prevista dagli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991 la categoria dei «dirigenti».
Andiamo per ordine. La direttiva 98/59 stabilisce che la procedura di licenziamento collettivo (procedura di garanzia per i lavoratori) si applichi a tutti i lavoratori con la sola esclusione dei licenziamenti collettivi dei lavoratori a termine, dei dipendenti della PA e,degli equipaggi delle navi.
Il nostro Stato, ha recepito tale direttiva con la L. nr. 223/91 che, all’art. 4 rubricato «Procedura per la dichiarazione di mobilità», delinea la procedura di licenziamento collettivo; la stessa legge all’art. 24, richiama le procedure previste dall’art. 4 nelle ipotesi di “riduzione del personale”.
Secondo la Corte, la normativa italiana, proprio perchè esclude una categoria di lavoratori dall’ambito di applicazione della procedura di licenziamento collettivo, sarebbe in contrasto con l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 98/59 il quale, stabilisce che la procedura di licenziamento collettivo si applichi a tutti i lavoratori con la sola esclusione dei licenziamenti collettivi dei lavoratori a termine, dei dipendenti della PA e,degli equipaggi delle navi.
“La direttiva 98/59, il cui ambito di applicazione si estende a tutti i lavoratori senza eccezione, non risulta correttamente recepita dalla legislazione nazionale in esame, la quale ammette a beneficiare delle garanzie da essa previste unicamente gli operai, gli impiegati e i quadri, escludendo i dirigenti”. Essa ritiene che la normativa e i contratti collettivi italiani riguardanti specificamente i dirigenti non colmino tale lacuna.
La nozione di lavoratore, si legge nella sentenza, “deve essere definita in base a criteri oggettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. In quest’ambito, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un altro soggetto e sotto la direzione di quest’ultimo, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione.
Nel caso di specie è indiscusso, da un lato, che la categoria dei «dirigenti» ricomprende persone inserite in un rapporto di lavoro come quello descritto al punto precedente e, dall’altro, che l’articolo 4, paragrafo 9, della legge n. 223/1991 si riferisce soltanto agli operai, agli impiegati e ai quadri, con esclusione dei «dirigenti».
Ne consegue che, come sostenuto dalla Commissione nel suo ricorso, la normativa italiana in esame può essere intesa nel senso che non impone al datore di lavoro di seguire la procedura di licenziamento collettivo per quanto concerne taluni lavoratori”.
Il Governo Italiano ha difeso procedura ex legge n. 223/1991 sostenendo che la normativa e i contratti collettivi riguardanti specificamente i dirigenti, i quali garantiscono loro una tutela di carattere economico in caso di licenziamento, rappresentano norme più favorevoli ai lavoratori con la conseguenza che detto Stato membro non sarebbe venuto meno agli obblighi che gli incombono.
Tale difesa non è stata accolta però della Corte Di Giustizia, la quale, ricorda che lo scopo della direttiva 98/59 è di ravvicinare le disposizioni nazionali relative alla procedura da seguire in caso di licenziamenti collettivi.
A tal fine, l’articolo 2, paragrafo 1, di detta direttiva stabilisce l’obbligo, per il datore di lavoro, di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori qualora preveda di effettuare licenziamenti collettivi.
Quindi, la direttiva 98/59 sarebbe parzialmente privata del suo effetto utile in caso di mancata attuazione della procedura di consultazione nei confronti di taluni lavoratori, a prescindere, peraltro, dalle misure sociali di accompagnamento che siano previste in loro favore per attenuare le conseguenze di un licenziamento collettivo.
E ciò, a maggior ragione se si considera che la direttiva 98/59, fatta eccezione per i casi tassativamente previsti al suo articolo 1, paragrafo 2, non ammette, né in modo esplicito né in modo tacito, alcuna possibilità per gli Stati membri di escludere dal suo ambito di applicazione questa o quella categoria di lavoratori.
Pertanto, conclude la Corte, “avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 9, della legge n. 223/1991, la categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva”.