È assolutamente legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO) di un lavoratrice rimasta incinta durante il periodo di preavviso. Quel che rileva, in tali casi, è l’esatto momento in cui il datore di lavoro esprime la volontà di recesso del rapporto di lavoro; e non gli effetti del licenziamento che si producono in un momento successivo, ovvero al termine del preavviso. Nel caso di specie, l’inizio dello stato di gravidanza era stato accertato in data successiva alla lettera di licenziamento anche se durante il preavviso. Per questo motivo il provvedimento del datore di lavoro è valido.
Tuttavia, l’efficacia del provvedimento si sospende e viene differita ad un momento successivo in quanto la maternità interrompe il periodo di preavviso; come nel caso della malattia o dell’infortunio. La sospensione dura fino al momento in cui cessa la causa sospensiva; nel caso della maternità quindi dura fino alla fine del periodo protetto, ovvero fino al compimento dell’anno del figlio.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 9268 del 3 aprile 2019. La pronuncia dei giudici conferma pertanto il principio secondo il quale è legittimo licenziare la lavoratrice il cui stato di gravidanza inizi durante il periodo di preavviso.
Gravidanza accertata durante periodo di preavviso: il caso
La vicenda trae origine da un licenziamento impugnato da una lavoratrice, in quanto a suo avviso illegittimo perchè intimato durante il periodo protetto di maternità, di cui all’art. 54 del D.Lgs. n. 151/2001. La Corte d’Appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda della dipendente.
A detta dei giudici della Corte d’Appello, il licenziamento, intimato per giustificato motivo oggettivo, si era perfezionato alla data di ricevimento da parte della lavoratrice della relativa lettera.
Nel caso di specie, l’inizio dello stato di gravidanza era stato accertato in data successiva all’intimazione del recesso, ma prima della scadenza del preavviso.
La lavoratrice ricorreva alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso si basava sulla l’errata valutazione della natura del preavviso come obbligatoria anziché reale. Pertanto, secondo la dipendente, l’evento di gravidanza, anche se avvenuto nel corso del periodo di preavviso, rende comunque operante la tutela predetta.
La sentenza
La Suprema Corte ha ritenuto i motivi della lavoratrice infondate e respinto il ricorso. Gli ermellini evidenziano che il licenziamento si perfeziona nel momento in cui il lavoratore viene a conoscenza della manifestazione di volontà del datore di lavoro di recedere. A nulla rileva quindi la circostanza che l’efficacia, ossia la produzione dell’effetto tipico della risoluzione del rapporto di lavoro, avviene in un momento successivo.
Pertanto, la verifica del recesso unilaterale deve essere compiuta in relazione all’esatto momento in cui il dipendente viene a conoscenza del licenziamento e non, qualora il licenziamento è intimato con preavviso, al successivo momento della scadenza del preavviso stesso. Tale principio, tra l’altro, si conferma anche nel caso di decadenza del termine stragiudiziale di 60 giorni (art. 6, L. n. 604/1966). Il termine, in tale fattispecie, decorre dalla comunicazione del licenziamento e non già dalla data di effettiva cessazione del rapporto.
In definitiva, lo stato di gravidanza, insorto durante il periodo di preavviso, se pure non è causa di nullità del licenziamento, costituisce evento idoneo a determinare la sospensione del periodo di preavviso. Sospensione che in questo caso dura fino al compimento dell’anno del bambino, ovvero fino alla fine del periodo protetto.