In caso di fatto illecito commesso da un dipendente, lo Stato o l’Ente pubblico sono pienamente responsabili verso i terzi. Tale principio vale anche laddove il comportamento del dipendente è mosso da situazioni e circostanze estranei all’Amministrazione. In altre parole, il reato del dipendente pubblico espone lo Stato al risarcimento del danno subito dal terzo anche quando agisce per fini esclusivamente personali.
Affinché si verifichi la responsabilità dello Stato o dell’Ente pubblico, occorre che il comportamento illecito sia strettamente correlato ad una connessione necessaria, sia pure occasionale, con le funzioni svolte dal dipendente infedele. A stabilirlo sono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13246 del 16 maggio 2019. I giudici dirimono un importante contrasto giurisprudenziale in materia di responsabilità dello Stato per il comportamento illecito dei propri dipendenti.
Enti pubblici e responsabilità verso terzi a causa dei dipendenti: il caso
Il caso affrontato dai giudici delle Sezioni Unite della Suprema Corte, riguarda un dipendente – in particolare un cancelliere – che si è reso protagonista di un’appropriazione indebita di denaro. Nel dettaglio ha prelevato soldi depositate presso un tribunale, con l’irrimediabile conseguenza di essere poi condannato per peculato.
In via generale, i giudici affermando che il dipendente pubblico assume un rapporto di immedesimazione organica, divenendo la rappresentazione verso i terzi dello Stato e dei poteri a lui conferiti. Nel caso in questione, non essendo lo Stato un essere fisco, può agire solo attraverso i suoi rappresentanti. Quindi, laddove venga meno tale rapporto di immedesimazione organica, cessa anche la responsabilità dello Stato.
Da tale assunto ne deriva che:
- l’illecito commesso dal dipendente pubblico quale espressione dello Stato che rappresenta esporrà quest’ultimo a responsabilità nei confronti dei terzi;
- nel caso in cui l’atto del dipendente sia abnorme tale, quindi, da interrompere il rapporto di immedesimazione organica, allora la responsabilità rimarrà solamente in capo all’agente stesso.
Responsabilità verso terzi dello Stato e degli enti pubblici
Nel prosieguo della sentenza, i giudici si soffermano a esaminare la natura della responsabilità dello Stato per fatto del pubblico dipendente. In particolare, gli ermellini affermano che deve ammettersi la coesistenza dei due sistemi ricostruttivi:
- quello della responsabilità diretta soltanto in forza del rapporto organico;
- e quello della responsabilità indiretta o per fatto altrui;
Quindi, una responsabilità può derivare da un atto amministrativo, un provvedimento, oppure ancora da un atto materiale, vale a dire un’attività estranea a quella istituzionale.
In definitiva, non si può accettare la conclusione che, quando gli atti illeciti posto in essere da chi dipende dallo Stato o da un ente pubblico, la tutela risarcitoria dei diritti della vittima siano meno effettive rispetto al caso in cui questi siano compiuti dai privati per mezzo di loro preposti.
Per concludere, lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi del fatto penalmente illecito del dipendente; anche quando questi ha approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità personali. Al tal fine, però, occorre che la condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni. Oppure a poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare.
In tali termini, il danno ingiusto a terzi non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio contrafattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo.
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