La Suprema Corte di Cassazione con sentenza nr. 47085 dell’11 dicembre scorso, ha confermato la condanna per lesioni colpose nei confronti di un imprenditore che aveva fatto scaricare casse pesanti a un lavoratore il quale, si era poi ammalato di “patologia cervicale e lombosacrale”.
Il caso ha riguardato un lavoratore salentino che, nonostante fosse affetto da una “patologia che lo rendeva inidoneo a svolgere lavori pesanti”, era stato comunque adibito, dal datore di lavoro allo scarico di cassa pesanti, determinando così, in danno del lavoratore, “l’insorgere e l’aggravarsi di patologia cervicale e lombosacrale”.
Gli ermellini, nel confermare la sentenza di appello, non hanno tenuto conto della tesi difensiva del datore secondo la quale, le lesioni riportate dal lavoratore non potevano essere attribuite all’attività lavorativa ma, all’attività sportiva svolta dal dipendente che, quella si, avrebbe potuto causare problemi di cervicale.
Infatti, continua la Corte, il forte dolore sentito dal lavoratore nel mentre svolgeva l’attività impostagli dal datore, non può ritenersi simulata; al contrario, la patologia di cui già soffriva il lavoratore è stata aggravata dall’attività impostagli dal datore che deve quindi ritenersi causa della conseguente lesione subita dal lavoratore.
Con questa sentenza la Suprema Corte mette l’ennesimo paletto allo strapotere dei datori. E’ forse meglio “ascoltare” e venire incontro alle esigenze (soprattutto se si parla di salute) di un lavoratore, piuttosto che pensare sempre di trovarsi di fronte a delle “scuse” accampate dal lavoratore stesso per affrancarsi da mansioni più o meno pesanti!.
Ribadisco che il lavoro serve per vivere più dignitosamente e quindi, non è possibile pensare che a causa del lavoro le persone perdano la vita o si facciano male a tal punto da non essere più idonei a qualsiasi attività lavorativa.
Qualche volta cerchiamo di anteporre alla logica fredda dei profitti aziendali, la logica umana del rispetto e della dignità dei lavoratori!