La Cassazione, con sentenza nr. 2496 dello scorso 21 febbraio 2012 ha affermato la natura di lavoro subordinato di alcuni commessi, assunti con contratto di associazione in partecipazione poichè, i lavoratori non partecipavano nè al rischio di impresa, nè godevano di autonomia organizzativa.
Il caso ha riguardato una società che, proponeva ricorso avverso una cartella esattoriale di pagamento per contributi dovuti all’lnps nella misura di lire 503.492.522 per contributi per assicurazioni sociali dei lavoratori dipendenti relativamente al periodo da febbraio del 1994 all’aprile 1998.
Il Tribunale di primo grado accoglieva il ricorso stabilendo nel merito, che nel rapporto instaurato con gli associati in partecipazione non sussistevano gli elementi della subordinazione. Di diverso avviso la Corte d’appello che, riconosceva la natura di lavoro subordinato dei commessi assunti con contratto di associazione in partecipazione.L’azienda ricorreva in Cassazione
Gli Ermellini, richiamando precedenti sentenza in tema, ribadiscono che “In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, l’elemento differenziale tra le due fattispecie risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdile (Cass., sez. lav., 19 dicembre 2003, n. 19475; Cass., sez. lav., 22 novembre 2006, n. 24781)”.
Nel caso di specie, continua la Corte, è stata esclusa la partecipazione degli associati al rischio d’impresa “tout court” e quindi deve intendersi che abbiano escluso la partecipazione sia agli utili che alle perdite. Pertanto già d solo tale fatto è idoneo a dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro.
“Laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale “favor” accordato dall’art. 35 Cost. che tutela il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”.
Inoltre, si legge nella sentenza, “le mansioni degli associati/lavoratori erano consistite essenzialmente nell’apertura e nella chiusura del negozio, nella pulizia e nella tenuta in perfetto ordine del negozio stesso, nella riscossione delle vendite e nella successiva rimessa a fine giornata dei ricavi a mezzo di cassa continua alla società. Si trattava pertanto di una prestazione lavorativa standardizzata, con osservanza dell’orario di lavoro ben determinato, non contraddetto da una certa autonomia degli associati dell’organizzazione del lavoro.
Era altresì emerso un controllo penetrante costante sull’operato degli associati da parte dell’assodante; di qui una soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro tanto che era rimesso alla facoltà insindacabile dell’assodante di non rinnovare il contratto alla scadenza dei sei mesi di validità”.
Proprio per questi motivi, è da considerare tale rapporto come subordinato e la società, pertanto, è tenuta al pagamento in favore dell’INPS dei contributi non versati per lavoro dipendente.