Se pensi che scrivere commenti offensivi verso la propria Pubblica Amministrazione, anche se solo in una chat privata come quella di WhatsApp, non possa avere alcun risvolto, ti sbagli di grosso. A volte si pecca di ingenuità a scrivere cose inappropriate e fare commenti pesanti verso il proprio datore di lavoro sia pubblico che privato, anche se questi avvengono in un contesto privato. Infatti, se la P.A. viene a conoscenza di determinati atteggiamenti dei dipendenti pubblici nei propri confronti, può adottare pesanti sanzioni disciplinari.
A stabilirlo è il TAR Sardegna con la sentenza n. 174/2022, ponendo un veto alla pratica di insultare o denigrare la propria Amministrazione nelle chat di messagistica di WhatsApp dei dipendenti pubblici. Pertanto, laddove il dirigente pubblico venisse a conoscenza di una conversazione, anche privata, ritenuta offensiva, potrebbe prendere pesanti provvedimenti nei confronti del dipendente pubblico.
Dipendente pubblico che insulta la P.A. su WhatsApp: la vicenda
Nel caso di specie, la P.A. era venuta a conoscenza di una conversazione privata avvenuta su WatsApp tra il tenente colonnello e un altro ufficiale di grado inferiore. Nello scambio di messaggi istantanei, i protagonisti commentavano e valutavano in modo negativo l’operato di ufficiali superiori e la sua condizione di servizio. Di conseguenza, l’atteggiamento dei due minava il clima organizzativo e la serenità del personale.
La P.A., contro l’operato dei dipendenti, ha adottato un procedimento disciplinare.
La difesa del dipendente
I dipendenti pubblici impugnavano il procedimento disciplinare sostenendo:
- l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e illogicità manifesta alla violazione del giusto procedimento;
- che le comunicazioni sono avvenute in forma privata, scambiate al di fuori di chat di lavoro o ufficiali, sulle quali non si sa come il Comando ne fosse venuto a conoscenza.
Quindi, secondo i ricorrenti, la comunicazione tra lui e la collega non poteva essere utilizzata dall’amministrazione al fine di fondare la contestazione disciplinare. Infatti, a detta dei dipendenti, i messaggi:
- erano inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo;
- devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile;
- sono inidonei a realizzare una condotta diffamatoria in quanto la comunicazione è avvenuta con più persone in un ambito riservato;
- non avevano un interesse a essere divulgati.
La sentenza del TAR
I giudici amministrativi bocciano in toto la difesa dei dipendenti pubblici. Prima di ogni cosa, i messaggi sono avvenuti nell’ambito dell’ordinamento militare, quindi non è illogico ritenere che si possa fondare una valutazione di rilevanza disciplinare. Quindi, in un contesto come quello militare è possibile adottare provvedimenti disciplinare anche se le affermazioni non sono “gravi”. In ogni caso, però, trattasi di affermazioni di tenore comunque negativo rispetto alla attività svolte da un ufficiale di grado superiore e alla conseguente condizione di lavoro nella sede.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa afferma che la valutazione circa la gravita dei fatti addebitati, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa. Giudizio, questo, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, quali la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento.
Infine, afferma il TAR, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale ha rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità.