Con la Sentenza numero 22289 dello scorso 21 ottobre la Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di contratti a progetto e i criteri distintivi rispetto al rapporto di lavoro subordinato.
Il caso ha riguardato un lavoratore il quale dopo una vertenza nei confronti della propria azienda si era visto riconoscere presso il Tribunale di Napoli un rapporto di lavoro di tipo subordinato con la qualifica di dirigente di azienda industriale, in sostituzione di un semplice contratto a progetto, ovvero di tipo parasubordinato.
Il Tribunale condannò quindi il datore di lavoro al pagamento degli importi di € 35.436,96. per differenze retributive, di € 53.733.00. per indennità di preavviso, di € 194.783.00, per indennità supplementare, e di € 12.498,23 per T.F.R.
La Corte d’appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza, dichiarando il diritto del lavoratore a percepire il compenso denominato di “lavoro a progetto”, relativamente al solo anno 2004, per la somma di € 74.400,00 da corrispondersi in ratei mensili di pari importo e condannando la società al pagamento delle sole differenze non corrisposte dal luglio del 2004 nella misura complessiva di € 18.600,00, oltre accessori di legge.
Il lavoratore ricorreva quindi in Cassazione avverso la sentenza della Corte partenopea, adducendo che la Corte d’Apello:
“nel tentativo di escludere il vincolo della subordinazione, ha erroneamente attribuito rilievo sostanziale al “nomen iuris” dei contratti intercorsi tra le parti, mentre ha omesso di trarre le dovute conseguenze dalla mancata indicazione nel contratto a progetto del relativo programma di lavoro ed ha altresì, ignorato le risultanze processuali sulle effettive caratteristiche della prestazione lavorativa, così come emerse dalle deposizioni testimoniali che, se tenute in debito conto, avrebbero condotto ad una diversa pronunzia in ordine alla configurazione giuridica dello stesso rapporto In particolare, secondo il ricorrente, dovendosi tener conto delle attività intellettuali che contraddistinguevano il rapporto in esame, il criterio da seguire per la corretta applicazione della norma di cui all’art. 2094 cod. civ. era quello di considerare i cosiddetti elementi sussidiari o complementari della subordinazione, da valutare complessivamente e comparativamente e non in maniera atomistica Il ricorso è fondato.”
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza con rinvio del procedimento alla Corte d’appello di Napoli che, in diversa composizione, esaminerà di nuovo, tenendo conto dei principi sopra richiamati, tutte le risultanze istruttorie non valutate e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
La decisione della Corte è stata presa tenendo conto che:
ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo e che l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa […]
Ma l’esistenza del vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito; d’altronde, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali ora indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l’incidenza del rischio economico, l’osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito. È stato, di conseguenza enucleata la regula iuris – che va in questa sede ribadita – secondo la quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure, all’opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.