La Corte di Giustizia Europea, con sentenza nr. C-595/12, si pronuncia in tema di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego stabilendo che “un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità costituisce una discriminazione basata sul sesso”.
La domanda pregiudiziale alla Corte Europea è stata presentata nell’ambito di una controversia tra una lavoratrice italiana dipendente del Ministero di Giustizia e quest’ultimo, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria avente ad oggetto l’esclusione della lavoratrice da un corso di formazione per l’assunzione della qualifica di vice commissario di polizia penitenziaria a seguito della sua assenza da detto corso per più di 30 giorni, assenza motivata da un congedo obbligatorio di maternità.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 2, paragrafo 2, lettera c), 14, paragrafo 2, e 15 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
La Corte europea intanto richiama i principi stabilita dalla Direttiva 2006/54/CE . Direttiva che contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:
- l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;
- le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;
- i regimi professionali di sicurezza sociale.
Quindi vengono richiamati gli artt. 2,14 e 15 della direttiva in questione. L’art. 2 da una definizione di discriminazione nella quale, si ricomprende, tra l’atro, “qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE“.
L’articolo 14, della direttiva 2006/54 precisa gli ambiti in cui non deve essere effettuata alcuna discriminazione. In tal senso, le discriminazioni dirette o indirette sono vietate per quanto riguarda le condizioni di accesso al lavoro, ivi compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, l’accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di orientamento professionale, formazione, perfezionamento e riqualificazione professionali, nonché l’esperienza professionale, le condizioni di occupazione e di lavoro e la partecipazione ad un’organizzazione rappresentativa di lavoratori o simili
L’articolo 15 di tale direttiva, relativo al rientro dal congedo di maternità, enuncia quanto segue: “Alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.”
La norma italiana accusata di discriminazione è l’art.10 del D.lgs 146/2000 recante «Adeguamento delle strutture e degli organici dell’Amministrazione penitenziaria e dell’Ufficio centrale per la giustizia minorile, nonché istituzione dei ruoli direttivi ordinario e speciale del Corpo di polizia penitenziaria” che, stabilisce che: “Il personale che, per giustificato motivo, è stato assente dal corso per più di trenta giorni è ammesso a frequentare un successivo corso. Il personale di sesso femminile, la cui assenza oltre i trenta giorni è stata determinata da maternità, è ammesso a frequentare il corso successivo ai periodi d’assenza dal lavoro previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri».
In pratica la sig.ra Napoli superava il concorso bandito il 20 aprile 2009 ai fini della nomina a vice commissario del ruolo direttivo ordinario della polizia penitenziaria e, veniva ammessa, in data 5 dicembre 2011, a partecipare al corso di formazione che doveva cominciare il successivo 28 dicembre.
Il 7 dicembre 2011 la sig.ra Napoli ha partorito. In conformità alla normativa nazionale, essa è stata posta in congedo obbligatorio di maternità per un periodo di tre mesi, ossia fino al 7 marzo 2012. A seguito di questi eventi, l’Amministrazione penitenziaria comunicava alla lavoratrice che, in applicazione dell’articolo 10, comma 2, del D. Lgs. n. 146/2000, decorsi i primi 30 giorni del periodo di congedo di maternità sarebbe stata dimessa dal corso di cui trattasi, con perdita della retribuzione. Vi si precisava che sarebbe stata ammessa di pieno diritto a frequentare il corso successivamente organizzato.
Secondo il Tar del Lazio, investito del ricorso della lavoratrice, l’articolo 10 del D. Lgs. n. 146/2000 sarebbe incompatibile con la direttiva 2006/54: “La sig.ra Napoli subirebbe un pregiudizio, conseguente alla maternità, che la porrebbe in condizione deteriore rispetto ai colleghi di sesso maschile vincitori del medesimo concorso ed ammessi al corso di formazione originario. Anche supponendo che le si possa applicare, in via analogica, la garanzia prevista dall’articolo 1494, comma 5, del D. Lgs. n. 66/2010, in ordine alla decorrenza degli effetti giuridici della nomina, quest’ultima non determinerebbe una retrodatazione degli effetti economici. La sig.ra Napoli perderebbe necessariamente la retribuzione e i contributi previdenziali di cui avrebbe beneficiato se avesse potuto seguire il corso iniziale.
Il TAR aggiunge inoltre che: “il diritto, riconosciuto alla lavoratrice esclusa da un primo corso a seguito di un congedo di maternità, di essere ammessa al corso successivo, non obbliga l’amministrazione interessata a organizzare tale corso.. Di conseguenza, poiché potrebbero trascorrere molti anni tra un corso e il corso successivo, la facoltà per detta lavoratrice di frequentare un altro corso sarebbe incerta, con l’effetto che il pregiudizio da lei patito rischierebbe di assumere gravi dimensioni”.
Ciò che si chiede alla Corte Europea è se, gli articoli 2, paragrafo 2, lettera c), e 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54, in combinato disposto tra loro, nonché l’articolo 15 della stessa direttiva, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego e obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare al corso di formazione successivo, il cui periodo di svolgimento è tuttavia incerto.
Secondo la Corte Europea:
- l’articolo 15 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo, del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento.
- L’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 non si applica a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che non riserva una determinata attività ai soli lavoratori di sesso maschile, ma ritarda l’accesso a tale attività da parte delle lavoratrici che non abbiano potuto giovarsi di una formazione professionale completa a causa di un congedo di maternità obbligatorio.
- Le disposizioni degli articoli 14, paragrafo 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto”.