Ai fini del riscatto dei contributi previdenziali non versati dal datore di lavoro (cd. costituzione di rendita vitalizia), la prova dell’effettiva esistenza di un rapporto di lavoro non può essere semplicemente presuntiva. L’onere probatoria, in tal senso, non può essere desunto in forza di un ragionamento presuntivo e ciò per l’estrema difficoltà di provare in modo diretto tutti gli elementi tipici della subordinazione. È quindi assolutamente necessario fornire la prova documentale – e quindi scritta – del rapporto di lavoro subordinato.
Ad affermarlo sono i giudici della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13202 del 16 maggio 2019, fornendo un vademecum sui requisiti per procedere alla costituzione della rendita vitalizia,
Costituzione di rendita vitalizia: la vicenda
Gli ermellini hanno affrontato una questione di particolare interesse che vede contrapposto:
- l’interesse del prestatore alla sistemazione della posizione assicurativa;
- a quello dell’INPS teso ad evitare frodi in danno dello Stato.
Nel caso di specie, l’INPS aveva negato a una lavoratrice di riscattare i periodi di contributi non versati dal datore di lavoro, per il periodo temporale ottobre 1977 – giugno 1979. La motivazione del diniego sta nella mancata esibizione dell’onere di fornire la prova scritta del rapporto di lavoro nel periodo indicato, cosi come previsto dall’art. 13, co. 2 e 3 della L. n. 1338/1962.
La lavoratrice, diversamente, riteneva che fosse sufficiente esibire semplicemente una dichiarazione a posteriore prodotta dall’amministratrice della società datrice di lavoro.
Cos’è la costituzione di rendita vitalizia
Nel caso in cui il datore di lavoro non ha versato i contributi previdenziali all’INPS per conto del datore di lavoro, il lavoratore può chiederne il riscatto, mediante uno strumento detto costituzione della rendita vitalizia. In particolare, si tratta di contributi che non possono più essere versati con le normali modalità e che non possono più essere richiesti dall’INPS essendo intervenuta la prescrizione di legge.
La richiesta di riscatto per contribuzione omessa può essere presentata:
- senza limiti temporali, anche dopo la concessione di un trattamento pensionistico;
- per omissioni parziali, se è stata versata una contribuzione ridotta rispetto alle retribuzioni effettivamente percepite;
- per coprire parzialmente il periodo durante il quale vi è stata omissione contributiva (es.: solo le settimane necessarie per il perfezionamento dei requisiti a pensione).
I contributi omessi possono essere accreditati solo dopo il pagamento di un onere di riscatto e sono utili per il diritto e per la misura di tutte le pensione.
Possono richiedere il riscatto:
- il datore di lavoro che ha omesso il versamento dei contributi e intende, in tal modo, procedere al pagamento degli stessi rimediando al danno causato al dipendente;
- il lavoratore stesso, in sostituzione del datore di lavoro, sia nel caso in cui presti ancora attività lavorativa sia nel caso in cui abbia già ottenuto la pensione;
- i superstiti del lavoratore.
Contributi INPS non versati dal datore: la sentenza
I giudici della Suprema Corte hanno dato ragione all’INPS. Secondo gli ermellini, sia la durata che la retribuzione del rapporto di lavoro può essere provata con ogni mezzo ma deve essere circoscritta al caso in cui sussista un documento che comprovi l’avvenuta costituzione di un rapporto di lavoro subordinato ad una data certa.
Quindi, a nulla rileva la decisione della Consulta n. 568/1989 alla quale ha fatto riferimento la lavoratrice, avente comunque l’obiettivo di evitare il rischio della creazione di posizioni assicurative fittizie.
In definitiva, ai fini della costituzione della rendita vitalizia il lavoratrice deve obbligatoriamente fornire una prova scritta da cui emerga:
- l’esistenza di un rapporto di lavoro;
- la qualificazione in termini di subordinazione.
Non sono ammesse, invece, prove testimoniali, e quindi anche quelle presuntive, in merito alla durata e ammontare della retribuzione.