La Corte di Giustizia Europea, nella causa C-50 dello scorso 12 dicembre 2013 (Papalia), torna a bacchettare l’Italia sull’annosa questione della reiterazione dei contratti a termine nella Pubblica Amministrazione e sulle poche tutele offerte dal nostro ordinamento in caso di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Questa sentenza, si aggiunge alle altre della CEG che richiamano l’attenzione dello Stato italiano al rispetto del principio della parità di trattamento tra dipendenti privati e pubblici. Ma è molto di più! Forse potremmo definirla epocale in quanto, in questo caso la Corte afferma chiaramente che la normativa europea in tema di contratti a tempo determinato, osta all’utilizzo di una normativa nazionale che, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto per il lavoratore interessato di ottenere il risarcimento del danno.
Nel caso in questione, il Tribunale di Aosta proponeva alla Corte Europea, la domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP nell’ambito di una controversia tra un maestro della banda municipale e il Comune di Aosta, in merito al risarcimento del danno patito a causa del ricorso abusivo, da parte del comune, alla stipula di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Il Tribunale di Aosta, con il ricorso chiedeva se l’accordo quadro debba essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo da parte di un datore di lavoro pubblico di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.
Andiamo per ordine. La clausola 5 dell’accordo dispone che:
Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
- ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
- la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
- il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
- devono essere considerati “successivi”;
- devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.
Come sappiamo, l’art. 36 del d. lgs. nr. 165/2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, dispone che: “… la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative..”
Nel caso in questione, il Sig. Papalia aveva lavorato alle dipendenze del Comune di Aosta quale direttore della banda municipale, in base a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati ininterrottamente dal 1983 e fino a luglio 2012 quando, con lettera datata 17 luglio 2012, il Comune di Aosta ha informato il sig. Papalia del fatto che, a partire dal 30 giugno 2012, data di scadenza del suo ultimo contratto di lavoro a tempo determinato, esso intendeva porre termine al loro rapporto di lavoro.
Il lavoratore ricorreva al Tribunale di Aosta per chiedere oltre all’accertamento dell’illegalità del termine apposto al contratto di lavoro, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in subordine, il risarcimento del danno che egli ritiene di aver subito a causa dell’utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Il Tribunale ordinario di Aosta, proponeva domanda pregiudiziale alla Corte Europea, dopo aver constatato che un lavoratore, illegalmente assunto nel pubblico impiego in base a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non solo non ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in applicazione dell’articolo 36, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001, ma, in forza di una giurisprudenza consolidata della Corte suprema di cassazione italiana, può beneficiare del risarcimento del danno sofferto a causa di ciò solo qualora ne dimostri la concreta sussistenza. Una prova siffatta imporrebbe al ricorrente di essere in grado di dimostrare che egli abbia dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.
La Corte Europea, richiamando giurisprudenza consolidata, in tema tra cui, le sentenze del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C‑53/04) e Vassallo (C‑180/04) riguardando la medesima normativa nazionale in questione nel procedimento principale, afferma che “la clausola 5 dell’accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi, lasciando agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia”
Tuttavia, affinché una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che vieta in modo assoluto, nel settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”.
Inoltre, si legge nella sentenza, “quando il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere proporzionato, sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro.
Anche se, in assenza di una regolamentazione dell’Unione in materia, le modalità di attuazione di siffatte norme rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).
Ne consegue che, quando si verifica un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”.
Per questi motivi, “l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.
Spetta dunque al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.