La Corte Costituzionale, con sentenza 153/2014 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro).
Il Tribunale ordinario di Brescia, durante un giudizio di opposizione ad una ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro per l’irrogazione di sanzioni amministrative in materia di lavoro, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro).
Per la Corte Costituzionale quindi, l’inasprimento delle sanzioni previsto nel 2004 per le imprese che in qualche modo violino le regole sull’orario di lavoro è illegittimo, proprio perchè travalica la delega concessa al Governo due anni prima.
La Corte in particolare ho inteso in primis confrontare la normativa sugli orari di lavoro antecedente al D.lgs. 66/2003. Il sistema sanzionatorio relativo alle violazioni in tema di orario di lavoro e di riposo domenicale e festivo era contenuto, nel regio decreto-legge 692/1923 (Limitazioni dell’orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura), e nella legge 22 febbraio 1934, n. 370 (Riposo domenicale e settimanale).
Tali disposizioni, rispondevano ad una realtà economica e lavorativa assai più semplice di quella odierna, ma tuttavia dimostrano come fin da allora la legge fosse attenta a questo profilo, ritenendo che la violazione della disciplina in tema di orario di lavoro fosse un indice di sfruttamento dei lavoratori, da punire con il necessario rigore.
Dalla ricostruzione operata risulta in modo evidente che il sistema delineato dal d. lgs. n. 66 del 2003, pur in parte diverso da quello passato, presenta una definizione dei limiti di lavoro e delle relative violazioni omogenea rispetto a quella precedente.
Pertanto , si conclude la sentenza:
Ai fini, quindi, del rispetto dei criteri fissati nella legge delega, deve affermarsi che le sanzioni amministrative previste dal r.d.l. n. 692 del 1923 e dalla legge n. 370 del 1934 corrispondono a violazioni da ritenere omogenee rispetto a quelle regolate dal d.lgs. n. 66 del 2003 e che, pertanto, la normativa sanzionatoria oggi in esame era tenuta al rispetto della previsione della delega nel senso della necessaria identità rispetto alle sanzioni precedenti; le quali, come si è già detto, erano state ritoccate al rialzo dal d.lgs. n. 758 del 1994.
Risulta in modo evidente, invece, proprio sulla base del confronto sopra compiuto, che le sanzioni amministrative di cui all’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003 sono più alte di quelle irrogate nel sistema precedente; e, trattandosi di un’operazione di puro confronto aritmetico, non sussistono dubbi interpretativi.
Ne discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, perché effettivamente sussiste la violazione del criterio direttivo contenuto nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge di delega n. 39 del 2002, sicché se ne impongono l’accoglimento e la conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle censurate disposizioni, per violazione dell’art. 76 Cost.
Sentenza 153-2014 Corte Costituzionale (225,0 KiB, 1.036 hits)