Con la Sentenza n. 17433 del 2015 la Corte di Cassazione confermando l’orientamento precedente, ha stabilito che il licenziamento durante la gravidanza delle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari, ovvero nel periodo che va dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno d’età del bambino non è qualificabile come illecito o discriminatorio, non essendo per legge vietato licenziare in ambito di lavoro domestico.
Ai sensi del D. lgs. n. 151/2001, T.U. Maternità, alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme relative al congedo per maternità e quasi tutte le altre disposizioni, compreso il trattamento economico e normativo, con esclusione, dunque, del divieto di licenziamento durante la gravidanza previsto, invece, dall’art. 54 dello stesso decreto legislativo. Una delle diversità riguarda proprio la mancata estensione alle prime del divieto di licenziamento nel periodo di gravidanza e puerperio.
In passato anche la Corte Costituzionale ha escluso più volte l’illegittimità di tale differenziazione decretandone la non discriminatorietà. La Cassazione, con la recente sentenza n. 17433/2015, ha rigettato il ricorso di una donna avverso la sentenza della Corte d’Appello che ne aveva respinto la domanda volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro, presso il quale aveva lavorato come collaboratrice domestica, al pagamento della retribuzione dalla data di licenziamento in poi. La donna era stata licenziata in tronco nel momento in cui aveva comunicato al datore di lavoro il suo stato interessante.
Per la Cassazione quindi “non essendo per legge vietato licenziare, in ambito di lavoro domestico, la lavoratrice in stato di gravidanza detto recesso non può essere illecito o comunque discriminatorio”.
Fonte: www.leggidilavoro.it