Con una recente sentenza la Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio riguardo alla cessione del quinto dello stipendio, una forma di prestito personale molto diffusa in Italia. La decisione si concentra sulla possibilità o meno di effettuare trattenute in busta paga per la gestione delle pratiche connesse a tale finanziamento.
Questa sentenza ha suscitato un acceso dibattito tra giuristi e operatori del settore, poiché pone dei limiti alla prassi comune che prevedeva l’addebito di spese di gestione direttamente sulla busta paga del dipendente. Ma prima di vedere cosa hanno deciso gli ermellini, ricordiamo in breve cos’è e come funziona la cessione del quinto in busta paga,
Cessione del quinto, cos’è e come funziona in busta paga
La cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) è una modalità di prestito personale riservata ai lavoratori dipendenti e pensionati, caratterizzata dalla possibilità per il creditore di trattenere direttamente dalla busta paga o dalla pensione un quinto dell’importo netto mensile per il rimborso del prestito. Questo tipo di finanziamento è regolamentato da norme specifiche, che stabiliscono i limiti e le modalità con cui le somme possono essere trattenute dallo stipendio.
Negli ultimi anni, l’utilizzo della cessione del quinto è cresciuto significativamente, anche grazie alla sua apparente semplicità e alla garanzia per il creditore, che ha la certezza del rimborso direttamente dalla fonte di reddito del debitore. Tuttavia, proprio la peculiarità di questa tipologia di prestito ha portato a numerosi contenziosi, soprattutto per quanto riguarda le modalità di gestione delle trattenute e le eventuali spese accessorie addebitate ai lavoratori.
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Qual è il principio stabilito nella sentenza della Cassazione
La sentenza della Corte di Cassazione n. 22362 dell’8 agosto 2024 ha chiarito che le trattenute effettuate sulla busta paga del lavoratore dipendente per la gestione delle pratiche di cessione del quinto non sono legittime. Pertanto il datore di lavoro non può rifarsi sul dipendente per i costi amministrativi dovuti alla gestione della pratica di cessione del quinto dello stipendio.
Il caso specifico riguardava la possibilità per il datore di lavoro di addebitare al dipendente una quota delle spese sostenute per la gestione delle operazioni connesse alla cessione del quinto. La Corte ha stabilito che tali trattenute non sono conformi alle norme vigenti, in quanto non direttamente collegate al debito contratto dal lavoratore, ma riguardanti piuttosto la gestione del prestito.
Il principio espresso dalla Cassazione si basa sull’interpretazione delle norme in materia di cessione del quinto, che prevedono che solo il quinto dello stipendio possa essere trattenuto per il rimborso del debito, escludendo quindi qualsiasi ulteriore addebito a carico del lavoratore. La decisione della Corte ha sottolineato che le spese di gestione devono essere considerate come costi accessori che non possono essere trasferiti sul lavoratore, il quale deve essere protetto da eventuali abusi o eccessi da parte del datore di lavoro o dell’ente creditore.
Quali sono le conseguenze di questa sentenza
Questa sentenza avrà senza dubbio un impatto significativo su come vengono gestite le cessioni del quinto in Italia. Innanzitutto, le società finanziarie e i datori di lavoro dovranno rivedere le loro prassi operative per evitare di incorrere in sanzioni o contenziosi legali. Per i lavoratori, questa decisione rappresenta una maggiore tutela dei loro diritti, garantendo che le trattenute in busta paga siano limitate a quanto strettamente necessario per il rimborso del debito.
Inoltre, questa pronuncia potrebbe spingere il legislatore a intervenire per chiarire ulteriormente la normativa in materia, al fine di evitare interpretazioni divergenti e garantire una maggiore certezza del diritto. Potrebbe anche incentivare l’adozione di pratiche più trasparenti da parte delle società finanziarie, che dovranno essere più chiare e precise nella comunicazione delle spese e delle condizioni contrattuali.
Conclusione
La sentenza della Cassazione sulla cessione del quinto e le trattenute in busta paga per la gestione delle pratiche di finanziamento segna un passo importante verso la tutela dei diritti dei lavoratori. La decisione ribadisce che le trattenute devono essere limitate al solo importo necessario per il rimborso del prestito, escludendo qualsiasi addebito aggiuntivo a carico del dipendente. Questo principio, sebbene apparentemente tecnico, ha rilevanti implicazioni pratiche sia per i lavoratori che per le società finanziarie, contribuendo a delineare un quadro normativo più chiaro e a garantire una maggiore protezione dei diritti dei soggetti coinvolti.
In definitiva, questa sentenza rafforza la posizione dei lavoratori imponendo limiti precisi alle trattenute che possono essere effettuate sulla loro busta paga e promuovendo una maggiore trasparenza e correttezza nei rapporti contrattuali.