La Cassazione, sezione lavoro, con sentenza nr. 10426 dello scorso 22 giugno, ha stabilito che mandare a quel paese il capo, non comporta l’automatico licenziamento a condizione però, che tale atteggiamento si verifichi una sola volta e, non sia di gravità tale da ledere il rapporto fiduciario che deve necessariamente esistere tra datore e lavoratore.
Il Caso è finito dinanzi alla Cassazione su ricorso dell’azienda che, sia in primo grado che in Appello, si è visto dichiarare illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore dopo che, lo stesso aveva mandato a quel paese la propria capo ufficio. Secondo l’azienda il comportamento del dipendente meritava il licenziamento in quanto, “gravemente ingiurioso e intimidatorio verso il superiore gerarchico donna deriso e apostrofato”.
Cassazione: si può mandare a quel paese il capo…
Gli Ermellini, dopo aver ricordato che, nel caso di specie, la contrattazione collettiva, “prevede come sanzione il recesso solo se il diverbio litigioso è seguito dal ricorso a vie di fatto, nel recinto dello stabilimento e che rechi grave pregiudizio alla vita aziendale”, hanno precisato che il “Vaffa” detto al capo ufficio, seppur costituisce condotta “spiacevole ed inopportuna”, non integra “una tale gravità da poter compromettere il rapporto fiduciario tra le parti.
Secondo la Suprema Corte, si è trattato di una “mera intemperanza verbale”, non seguita da altri comportamenti “scorretti” e “inidonea a dimostrare una volontà di insubordinazione o di aperta insofferenza nei confronti del potere disciplinare e organizzativo del datore di lavoro.
Una condotta che dunque, “poteva essere sanzionata con una misura non a carattere espulsivo” dato che la frase, “era stata pronunciata in un contesto non di contrapposizione, ed era stata preceduta da affermazioni di ordine scherzoso”.