La Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza nr. 15059 dello scorso 7 settembre, dichiara la non risarcibilità dell’infortunio in itinere, accorso ad una lavoratrice, se la distanza tra casa e lavoro è talmente breve da non giustificare l’utilizzo del mezzo privato.
Il caso ha riguardato una lavoratrice che si è vista negare dall’INAIL il risarcimento del danno subito a seguito di un infortunio in itinere mentre, con la sua bicicletta tornava del luogo di lavoro alla propria abitazione. Sia il Tribunale di primo grado che la corte d’Appello, rigettavano il ricorso del lavoratore che, ricorreva in Cassazione.
Gli Ermellini confermano la tesi della corte d’Appello secondo la quale, nel caso di specie, l’abitazione della lavoratrice distava solo 1 KM dal luogo di lavoro; proprio per la breve distanza da percorrere, la Corte riteneva che l’utilizzo del mezzo privato (la bicicletta appunto) non fosse giustificato, trattandosi di una distanza facilmente percorribile a piedi per una persona, come la lavoratrice, ancora giovane (37 anni) e con nessun problema di deambulazione.
In effetti, continua la corte, l’art. 2 del T.U. nr 1124 come modificato dal d.lgs. nr. 38/2000, riconosce la copertura dell’infortunio in itinere, anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, a condizione che l’uso stesso sia necessitato.
La Suprema Corte, nel richiamare costante giurisprudenza (vedi Sentenza Cassazione nr. 22759/2011) sul tema, riafferma il principio per cui: “l’infortunio in itinere non può essere ravvisato in caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sposti con il proprio mezzo di trasporto, ove l’uso del mezzo privato non rappresenti una necessità per la mancanza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del lavoratore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce strumento normale di mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio di incidenti stradali”.