La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza nr. 12318 del 19 maggio 2010, ha riconosciuto il diritto delle vittime di molestie sessuali sul lavoro, ad un maxi risarcimento, anche se il danno biologico subito non è di grave entità; rimarcando l’odiosità di tali comportamenti che, di fatto, ledono beni costituzionalmente tutelati.
Il caso ha riguardato una lavoratrice, dipendente di una concessionaria di auto che ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro, accusandolo di molestie sessuali. Già la Corte di Appello di Torino, aveva riconosciuto alla vittima un risarcimento di 300 mila euro; la concessionaria impugnava la decisione dei giudici di appello, contestando da un lato la ricostruzione dei fatti, dall’altro l’ammontare del risarcimento, ritenuto eccessivo e sproporzionato.
Cassazione: maxi risarcimenti per le molestie sessuali sul luogo di lavoro
Gli Ermellini hanno confermato quanto stabilito dalla Corte di Appello sottolineato che, seppur in presenza di un danno biologico di lieve entità, è opportuno considerare “anche la particolare gravità ed odiosità del comportamento lesivo e quindi la sua notevole capacità di offendere i beni personali costituzionalmente protetti indicati come lesi dalla lavoratrice”.
Si può dunque legittimamente “procedere ad una liquidazione equitativa del danno non patrimoniale sulla base di criteri diversi, che alludono esplicitamente, in particolare, per ciò che riguarda il c.d. danno morale da reato, alla menzionata odiosità della condotta lesiva, indotta soprattutto dallo stato di soggezione economica della vittima e per la parte concernente il c.d. danno esistenziale, al clima di intimidazione creato nell’ambiente lavorativo dal comportamento del datore di lavoro e al peggioramento delle relazioni interne al nucleo familiare”.