La Cassazione, con sentenza nr. 35344 dello scorso 29 settembre, ha affermato la responsabilità penale per il reato di truffa aggravata, del dirigente che, consente ad alcuni dipendenti di attestare falsamente la loro presenza in ufficio.
Il caso ha riguardato un dirigente del Comune di Milano che veniva accusato “ di aver consentito, nella sua qualità di direttore del settore “relazioni esterne”, che alcune dipendenti, con abitualità attestassero falsamente la loro presenza in ufficio.
Non solo; dalla sentenza di appello, emerge la responsabilità del dirigente a titolo di “concorso commissivo (e non omissivo), realizzatosi mediante la manifestazione di una chiara apparenza, anche agli occhi degli altri dipendenti, di un ingiustificato “rapporto di protezione” che finiva con il creare a favore delle corree l’impunità per le loro condotte illecite, sottraendole al rischio del controllo e della delazione da parte di altri colleghi”.
Secondo gli Ermellini, “concorre nel reato con condotta commissiva – anziché mediante omissione ai sensi dell’art. 40, 2 comma c.p. – il dirigente di un ufficio pubblico che non soltanto non impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere reiterate violazioni nell’osservanza dell’orario di lavoro, aggirando in modo fraudolento il sistema computerizzato di controllo delle presenze, ma favorisca intenzionalmente tale comportamento creando segni esteriori di un atteggiamento di personale favore nei confronti dei correi, in modo tale da creare intorno ad essi un’aurea di intangibilità, disincentivare gli altri dipendenti dal presentare esposti o segnalazioni al riguardo e così affievolire, in ultima analisi, il cosiddetto ‘controllo sociale”.
Pertanto, concludono i giudici, “tale condotta ha valenza agevolatrice del reato anche solo per il sostegno morale e l’incoraggiamento che i dipendenti infedeli ricevono da una simili situazione di favore; senza che occorra accertare se il dirigente dell’ufficio avesse o meno potere il potere di impedire la consumazione del reato”.