La Cassazione, con sentenza nr. 17582/2014 ha dichiarato legittimo il rifiuto del dipendente pubblico a svolgere lavoro straordinario, in occasione del Consiglio Comunale indetto di sera, fuori dagli orari lavorativi.
Il caso ha riguardato un dipendente comunale che si è visto irrogare una sanzione disciplinare per essersi rifiutato di partecipare ad un Consiglio Comunale indetto fuori dagli orari di lavoro. La Corte d’appello, rigettando la sentenza di primo grado, annullava le sanzioni disciplinari inflitte al lavoratore per non aver partecipato ai predetti consigli.
In merito alla normativa applicabile, si precisa che, essendo i fatti oggetto di causa, anteriori al marzo 2000, agli stessi non sono applicabili le disposizioni successive a tale data. In ogni caso, la privatizzazione del pubblico impiego comporta che, anche ai dipendenti pubblici si applichino le norme in materia di orario di Lavoro, fissate dal R.D. 15 marzo 1923 n. 692, art. 5 bis, nel testo di cui al D.L. 29 settembre 1998 n. 335, convertito, con modificazioni, nella legge 27 novembre 1998 n. 409.
Secondo tale normativa, “le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e non possono essere utilizzate come fatto ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro. La prestazione di lavoro straordinario è disposta sulla base delle esigenze individuate dall’amministrazione, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione.
L’art. 5-bis del R.D. n. 692 del 1923 dispone, al secondo comma, che il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto e che, “in assenza di disciplina ad opera dei contratti collettivi nazionali”, esso “è ammesso soltanto previo accordo tra datore e prestatore di lavoro”.
Il ricorso al lavoro straordinario “è inoltre ammesso, salvo diversa previsione del contratto collettivo”, tra l’altro, nei “casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori”. Quest’ultima fattispecie, precisa la Corte, non può riguardare il caso in oggetto poichè, nella specie, le convocazioni in orario serale erano divenute la regola e non erano quindi dettate da esigenze straordinarie ed occasionali.
Il rifiuto della dipendente, il cui orario di servizio era dalle ore 7,30 alle 13,30 e che nelle precedenti occasioni aveva assicurato la sua presenta durante le sedute del Consiglio comunale non risultava pertanto illegittimo.
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