La Cassazione, con sentenza nr. 2722 dello scorso 23 febbraio 2012 ha affermato il diritto del datore di lavoro a controllare le mail dei propri dipendenti e l’accesso ad internet, qualora tali controlli siano ex post volta ad accertare l commissione di illeciti da arte del lavoratore.
Il caso ha riguardato appunto, un lavoratore (dirigente bancario) che impugnava il licenziamento per giusta causa intimatogli dall’azienda con l’accusa di aver divulgato tramite messaggi di posta elettronica rivolta ad estranei, notizie riservate relative a un cliente. Attraverso la divulgazione di tali notizie, il lavoratore effettuava delle operazioni finanziarie da cui traeva un vantaggio personale.
La Corte di appello, considerava legittimo il licenziamento in quanto non riteneva contrastante con l’art 4 dello Statuto dei lavoratori, il controllo dell’azienda sulle mail del lavoratore, essendo diretto ad accertare ex post, una condotta attuata in violazione degli obblighi di fedeltà e riservatezza ex art. 2104 c.c. e, in contrasto con l’interesse del datore di lavoro. Il lavoratore ricorreva in Cassazione tra l’altro anche per violazione dell’art 4 Statuto dei lavoratori che, vieta “l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”
Gli Ermellini, dopo aver rimarcato la ratio sottesa all’art 4 dello Statuto e, alcune precedenti orientamenti giurisprudenziali sul tema, come la Sent. nr. 4375/2010 sul divieto, per le aziende di spiare i dipendenti che navigano nel web durante le ore d’ufficio; afferma che il caso di specie non rientra nelle ipotesi tutelate dall’art 4 statuto dei lavoratori.
Ciò perchè, “il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (effettivamente riscontrati) dagli stessi posta in essere.
In questo caso, dunque, “entrava in gioco il diritto del datore a tutelare il proprio patrimonio che era costituito non solo dai beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna così come accreditata presso il pubblico”.
Un controllo difensivo quindi, che non riguardava “l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro ma, era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell’istituto presso terzi”. Come tale, poteva essere effettuato e posto alla base del licenziamento.