La Cassazione, con sentenza nr. 35099 dello scorso 29 settembre ha affermato che dare dello “stronzo” al proprio dipendente, costituisce reato di ingiuria e come tale va punito.
Il caso ha riguardato una lavoratrice che, per aver dimostrato il suo disappunto, circa un rimprovero sulla propria condotta lavorativa, si è sentita dare della “stronza” dal titolare. Il datore veniva condannato sia in primo grado che in appello. Lo stesso ricorreva in Cassazione.
Secondo gli Ermellini, il termine “stronza”, secondo il comune significato recepito da tutti, attribuisce al destinatario qualifica di persona meritevole di disprezzo e di disistima.
“Il lavoratore non è tenuto a sottostare all’uso di epiteti di disprezzo e di disistima in virtù delle generali scelte espressive del datore. quest’ultimo quando fa rilievi ai propri lavoratori non li può fare a “modo suo”.
Proprio il rilievo, continua la Corte, riconosciuto alla finalità afflittiva e punitiva del termina “stronza”, rende evidente come il datore abbia agito con l’intento e la consapevolezza di offendere e racar danno alla lavoratrice. Nel nostro ordinamento, il contesto lavorativo è caratterizzato da pari dignità dei suoi protagonisti, da una pari effettività di tutta la normativa, senza che possa invocarsi, per nessuna delle parti, una desensibilizzazione all’altrui aggressione. Pertanto, il datore va condannato
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