La Cassazione, con sentenza nr. 16935 dello scorso 8 luglio, torna a pronunciarsi, ancora una volta sui criteri distintivi tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Nella specie, la Suprema Corte ha affermato che, per verificare la natura subordinata o meno di un rapporto di lavoro nelle ipotesi di mansioni particolarmente semplici e ripetitive o, viceversa nelle ipotesi di mansioni troppo complesse e creative, il criterio dell’assoggettamento al potere direttivo dell’imprenditore non è rilevante.
Il caso approdava in Cassazione a seguito di ricorso del lavoratore proposto nei confronti della società Agenzia Ippica dove lavorava, avente ad oggetto, previo riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con detta società, la condanna della stessa al pagamento di differenze retributive e la declaratoria di nullità del licenziamento intimato oralmente con condanna al pagamento del conseguenziale risarcimento del danno.
La Corte di Appello di Palermo, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda del lavoratore circa la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, ritenendo prvata la sussistenza della sottoposizione al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro. La società ricorreva in Cassazione.
Gli Ermellini, intanto ribadiscono, ricorrendo a consolidata giurisprudenza il concetto di lavoro subordinato caratterizzato appunto, dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa (tra le numerose decisioni.
Quindi precisano che l’ esistenza del vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito; e, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali ora indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l’incidenza del rischio economico, l’osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito.
Proprio per questo, continuano gli Ermellini, “nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure, all’opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore”.
Principi che, a giudizio della Suprema Corte sono stati fatti propri dalla Corte d’appello in quanto, “sulla premessa che il lavoratore in causa era addetto a mansioni ripetitive e che tali mansioni, una volta ricevute le istruzioni iniziali, non richiedevano ulteriori direttive e controlli, ha dato rilievo, ad altri criteri quali: i
- turni settimanali che erano predisposti dalla società, ancorché sulla scorta delle disponibilità inizialmente manifestate dal prestatore di lavoro;
- l’obbligo per tutti i lavoratori di rispettarli e non poteva allontanarsi senza essere autorizzato;
- L’obbligo di avviso in caso di indisponibilità;
- lo svolgimento del lavoro nei locali dell’agenzia con l’uso di beni aziendali secondo orari predeterminati;
- il compenso fisso, senza alcun riferimento al risultato della prestazione;
- e in ultimo, l’assenza di alcun rischio economico da parte del lavoratore. non vi era alcun rischio economico da parte del lavoratore.
Sulla base di ciò, gli Ermellini ritengono dunque corretta l’affermazione della Corte del merito secondo la quale il rapporto era connotato dal requisito della subordinazione, intesa come sottoposizione del lavoratore al potere organizzativo, di controllo e, all’occorrenza, disciplinare da parte del datore di lavoro non ravvisandosi, peraltro, nelle modalità delle prestazioni lavorative come sopra effettuate margini di autonomia.