La Cassazione, con sentenza nr. 610 dello scorso 17 gennaio 2012, ha negato il diritto all’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne e laureato che rifiuta un lavoro all’interno dell’azienda paterna.
La strana vicenda ha riguardato un ricorso presentato dall’ex moglie, contro la sentenza in tema di separazione personale, emessa dalla Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado.
La corte d’appello, riduceva ad Euro 1.600,00 mensili l’assegno già imposto all’ex marito (per Euro 5.000,00 mensili) per il mantenimento della moglie e, eliminava l’assegno di Euro 1.000,00, per il mantenimento della figlia trentenne che conviveva con la madre e che non era economicamente autonoma, a differenza dei suoi due fratelli, anch’essi come lei laureati e che avevano trovato sistemazione lavorativa presso il padre.
La figlia, aveva disatteso ogni invito dello stesso padre di lavorare presso una delle sue aziende, senza addurre nessuna convincente giustificazione del rifiuto e ciò, nonostante il fatto che gli altri due figli delle parti già lavoravano presso le aziende paterne onde era presumibile che l’offerta di lavoro avrebbe comportato l’esercizio di attività analoga a quella svolta dai germani, compatibile con il suo titolo di studio (laurea in architettura).
Secondo gli Ermellini, l’assegno di mantenimento della figlia ormai trentaseienne e laureata in architettura non è più dovuto e ciò, “sulla puntuale verifica delle condizioni personali ed economiche della figlia stessa, titolare di rendita immobiliare nonché di titolo di studio universitario e, dunque, in grado di attendere ad occupazioni lucrative ingiustificatamente, invece, da lei rifiutate, laddove anche il rilievo della ricorrente, circa l’erroneo richiamo della sua laurea in architettura piuttosto che in conservazione e restauro di beni culturali, non appare decisivo pure in rapporto al possibile suo inserimento lavorativo nell’ambito dell’attività imprenditoriale svolta dal padre in ambito edilizio”.
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