La Cassazione, con sentenza n. 9217 del 6 maggio 2016 ha dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa, intimato al lavoratore che ha abusato dei permessi previsti dalla L. 104/92.
Il caso ha riguardato un lavoratore che, a seguito di accertamenti svolti da una Agenzia investigativa per conto del datore di lavoro, veniva licenziato per giusta causa. Secondo le indagini svolte dall’agenzia investigativa infatti, risultava che lo stesso, pur avendo richiesto alcuni permessi ex L. n. 104/1992 si recava presso l’abitazione dell’assistita (cognata non convivente) affetta da grave disabilità per un numero di ore inferiore a quello previsto.
Il Tribunale di primo grado dichiarava la nullità del licenziamento; di diverso avviso la Corte d’Appello che dichiarava la legittimità del recesso del datore. Il lavoratore ricorreva in Cassazione.
Secondo gli Ermellini,” il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 L. n. 104/1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed Integra nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale (cass. n. 4984/2014)”
Per la Cassazione inoltre, il fatto che il datore di lavoro si sia affidato ad un investigatore privato non viola le norme contenuto nello statuto dei lavoratori (L. 300/70). Secondo giurisprudenza consolidata “le disposizioni dell’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n.300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza”.
Il comportamento tenuto dal lavoratore rappresenta per la Suprema Corte,una “grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo, norme codicistiche che non risultano rispettate dal ricorrente in relazione ad episodi che sono stati scoperti solo grazie al ricorso ad una Agenzia investigativa e che quindi dimostrano una particolare attitudine del lavoratore a strumentalizzare forme legittime di sospensione dal lavoro”.
L abuso dello strumento della L. 104/92 costituisce dunque una “strumentalizzazione, particolarmente insidiosa, di un istituto disposto a fini di interesse generale che incide notevolmente sulla libera autorganizzazione imprenditoriale ed anche sulle risorse pubbliche che in questo modo vengono attribuite sine titulo”.
Un fatto grave dunque, che rompe il rapporto fiduciario che necessariamente deve esistere tra lavoratore e datore di lavoro e che, proprio per questo, giustifica il ricorso al licenziamento.
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