Buoni pasto e permessi per allattamento nel primo anno di vita del bambino: quando sono compatibili? La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza 31137 del 28 novembre 2019. Sul punto, i giudici di legittimità hanno stabilito che i due istituti sono compatibili esclusivamente nel caso in cui:
- la prestazione lavorativa abbia una durata superiore alle 6 ore;
- le ore di permesso non rientrino assolutamente nel computo delle 6 ore ai fini del godimento di tale buono che ha natura assistenziale e non retributiva.
La motivazione sta nel fatto che i buoni lavoro non rappresentano un elemento normale della retribuzione. Essi costituiscono di fatto una agevolazione assistenziale finalizzata a garantire il benessere del dipendente che trascorre diverse ore in azienda e garantirgli così un miglior rendimento nello svolgimento delle proprie mansioni.
Buoni pasto e permessi per allattamento: il caso
La vicenda riguardava una dipendente dell’Agenzia delle Dogane che chiedeva, a seguito della nascita dei propri figli (dal 2004 al 2010), il pagamento:
- dei buoni pasti relativamente ai giorni in cui aveva fruito di permessi per allattamento;
- dell’indennità di produttività d’ufficio;
- dell’indennità di obiettivo istituzionale.
Al riguardo, la Corte d’Appello di Milano ha – innanzitutto – respinto la richiesta riguardante l’indennità di produttività in relazione ai periodi di congedo suddetti. Infatti, l’art. 55 del CCNL del Comparto delle Agenzie fiscali, sottoscritto il 28 maggio 2004, stabilisce che, in caso di congedo parentale e di interdizione anticipata dal lavoro, al dipendente spetta l’intera retribuzione, comprese le quote di incentivi eventualmente previste dalla contrattazione integrativa.
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Inoltre, sottolineano i giudici di merito, l’art. 55 trova anche riscontro nell’articolo 71, comma 5, del Dl 112/2008, convertito in Legge 133/2008. Tale norma, in via eccezionale, ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa (di regola derivante dalla presenza in ufficio), ha sancito l’equiparazione alla presenza in servizio delle assenze dal servizio dei dipendenti.
Di conseguenza, tale equiparazione vale per la ripartizione delle componenti variabili della retribuzione, regolate dalla contrattazione integrativa.
I giudici di secondo grado condividono anche l’equiparazione – contestata dall’Agenzia – delle ore di permesso per allattamento alle ore di effettiva presenza in ufficio. Ciò vale, in particolare, anche per l’erogazione dei buoni pasto, indipendentemente dal rientro in azienda e anche in assenza di pausa.
Buoni pasto e permessi per allattamento: la Cassazione
La Corte di Cassazione ribalta la sentenza di secondo grado, concedendo un diverso spazio e peso alle previsioni contrattuali. Innanzitutto, si afferma che la consegna del buono pasto non è obbligatoria per legge. Infatti, la disciplina che prevede l’erogazione dell’istituto dei cd. “ticket restaurant” dipende dal raggiungimento delle specifiche condizioni previste dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro.
L’orientamento degli ermellini esclude che, ove un contratto collettivo richieda lo svolgimento di un numero minimo di ore di lavoro effettivo per il godimento del buono pasto, il buono medesimo possa essere riconosciuto anche alle dipendenti che non hanno raggiunto la soglia oraria in virtù della legittima fruizione di congedi per allattamento.
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In definitiva, sostiene la Suprema Corte, le ore di congedo previste dal T.U. maternità e paternità (D. Lgs. 151/2001) sono equiparate dal T.U. del pubblico impiego (D. Lgs. 165/2001) all’orario di lavoro solo ad alcuni fini:
- effetti;
- durata della retribuzione.
Dunque, al di fuori di tale ambito le ore di congedo non possono essere considerate come lavoro effettivo.
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