I buoni pasto, conosciuti anche come ticket mensa, sono un beneficio che le aziende concedono ai propri dipendenti per permettere loro di consumare un pasto durante l’orario lavorativo. Si tratta di un titolo di pagamento, del valore prestabilito, che può essere utilizzato in ristoranti, bar, supermercati o mense convenzionate. In genere, i buoni pasto sono distribuiti ai lavoratori che operano in turni che prevedono la pausa pranzo o che lavorano a tempo pieno. Questo strumento non ha natura strettamente retributiva ma rappresenta un supporto al lavoratore per la gestione dei pasti durante l’attività lavorativa.
Di recente, con l’ordinanza n. 25840/2024, la Corte di Cassazione ha riaperto il dibattito sui buoni pasto, in particolare sulla loro spettanza durante le ferie. Confermando precedenti giudizi di merito, la Suprema Corte ha stabilito che, sulla base degli orientamenti comunitari, anche durante il periodo di ferie spetta il pagamento del ticket mensa. Avevamo già parlato di questa sentenza in un nostro precedente articolo, ma oggi ritorniamo sull’argomento dato che ha sollevato non poche perplessità nel mondo giuridico e tra i datori di lavoro.
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Il ragionamento della Corte di Cassazione
Il ragionamento della Corte si basa sugli orientamenti della Corte di Giustizia Europea, secondo i quali la retribuzione corrisposta durante il periodo feriale deve essere paragonabile a quella dei giorni lavorativi normali. Questa impostazione mira a tutelare il lavoratore, garantendogli un trattamento economico che non lo induca a rinunciare alle ferie per evitare una diminuzione della sua retribuzione complessiva.
Secondo la Cassazione, la retribuzione durante le ferie deve includere tutti gli importi che sono direttamente legati all’esecuzione delle mansioni del lavoratore e correlati al suo status personale e professionale. In questo modo, si assicura che le condizioni economiche godute durante le ferie siano simili a quelle del periodo lavorativo ordinario.
Il buono pasto, pur non essendo una componente salariale classica, secondo questa interpretazione, fa parte degli elementi che devono essere inclusi nella retribuzione globale.
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Impatto della sentenza
La decisione della Cassazione di includere i buoni pasto nella retribuzione feriale avrà certamente delle ripercussioni. In primo luogo, potrebbe influire sul calcolo delle ferie retribuite per molte categorie di lavoratori, specialmente nei settori in cui i buoni pasto rappresentano una parte significativa delle condizioni economiche del lavoratore.
Le aziende potrebbero essere costrette a rivedere le politiche interne sui buoni pasto, con un aumento dei costi legati alle ferie. Questo potrebbe portare a una ridefinizione delle contrattazioni collettive o aziendali, nelle quali potrebbero essere stabilite nuove regole sull’erogazione dei buoni pasto durante i periodi di inattività.
D’altra parte, la sentenza tutela i lavoratori, garantendo loro una retribuzione complessiva che non diminuisce durante il periodo di ferie, favorendo un uso più sereno e consapevole delle ferie stesse. La logica sottesa a questa decisione è chiara: se il lavoratore, durante i giorni lavorativi, beneficia di un determinato trattamento economico, lo stesso dovrebbe avvenire durante il periodo di ferie, per non pregiudicare il suo diritto a un pieno recupero delle energie psicofisiche.
Perplessità sulla natura del ticket mensa
Nonostante il rispetto per la decisione della Cassazione, diverse voci critiche si sono sollevate riguardo all’inclusione del ticket mensa nella retribuzione durante le ferie. Riportiamo ad esempio le perplessità della nota voce di Dottrina per il Lavoro, che si concentrano su tre punti principali:
- Funzionalità del ticket mensa: Il ticket mensa è pensato per la consumazione del pasto durante l’orario di lavoro e viene riconosciuto solo se la prestazione lavorativa ricade in un orario che comprende il periodo del pranzo. Essendo la pausa pranzo assente durante le ferie, appare contraddittorio riconoscere un beneficio che nasce dall’esigenza di alimentarsi durante l’attività lavorativa.
- Natura non retributiva: Tradizionalmente, il buono pasto non viene considerato come una componente della retribuzione vera e propria, in quanto non è un corrispettivo diretto per la prestazione lavorativa, ma un beneficio accessorio che aiuta a coprire le spese alimentari. Inserire il ticket mensa nel calcolo della retribuzione durante le ferie sembra forzare la sua funzione originaria.
- Collegamento allo status professionale: Il buono pasto non è in alcun modo legato allo status professionale del lavoratore. Mentre altre componenti della retribuzione possono essere strettamente collegate al ruolo e alle responsabilità del dipendente, il ticket mensa si configura come un beneficio accessorio, svincolato dalla posizione gerarchica o professionale del lavoratore.
Conclusioni
La recente ordinanza n. 25840/2024 della Corte di Cassazione ha riacceso il dibattito sulla retribuzione spettante ai lavoratori durante le ferie, estendendo il concetto di retribuzione feriale anche ai buoni pasto. D’altronde è questo l’orientamento della Cassazione che anche recentemente, con la sentenza n. 19663 dell’ 11 luglio 2023, ha affermato che:
la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, così come interpretata dalla Corte di Giustizia Europea, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore
Pur riconoscendo la validità del principio espresso dalla Corte, rimangono comunque diverse perplessità sulla natura del ticket mensa e sul suo collegamento con la prestazione lavorativa.
Resta ora da vedere come questa decisione influenzerà il panorama giuridico e contrattuale italiano, e se le aziende adotteranno nuove strategie per adeguarsi a quanto stabilito. Quello che appare chiaro è che il confine tra retribuzione e benefit accessorio, in questo caso, si fa sempre più sottile, con un impatto concreto sia per i lavoratori che per i datori di lavoro.