La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23931 dello scorso 10 novembre è intervenuta sullo spinosa tema della distinzione tra associazione in partecipazione e rapporto di lavoro subordinato.
Nello specifico un contribuente è ricorso in Cassazione dopo che la Corte di Appello di Ancona, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva respinto la sua opposizione, avverso i decreti ingiuntivi dell’Inps a titolo di contributi e somme aggiuntive, dovute all’Istituto dopo che lo stesso aveva riqualificato un rapporto di associazione in partecipazione in rapporto di lavoro subordinato.
La Corte d’appello dava ragione all’Inps, concludendo che effettivamente il rapporto di lavoro era di tipo subordinato in quanto l’azienda non aveva fornito alcuna prova della propria affermazione ma anzi è stata rilevata l’assoluta discrasia tra la qualificazione del contratto e l’effettivo contenuto dei rapporti di lavoro così come sviluppatisi.
Con un unico articolato il ricorrente denuncia un vizio di motivazione. In primis rileva che la Corte d’Appello ha fondato il proprio giudizio sulla circostanza che l’azienda non aveva fornito l’onere della prova dell’esistenza dell’associazione in partecipazione; mentre l’onere probatorio della sussistenza di un rapporto di tipo subordinato gravava sull’Inps, che comunque aveva documentato l’esistenza di contratti di associazione in partecipazione, inoltre in base alle dichiarazioni delle lavoratrici emergeva che non rispettavano orari di lavoro precisi, i tempi di consegna non erano rigidi, il loro compenso era determinato solo a fine anno ecc.
Dunque la Cassazione afferma che le censure sono fondate in quanto la Corte d’Appello addossa erroneamente l’onere della prova della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato in capo all’azienda. Cioè la Corte d’appello afferma erroneamente che non avendo il ricorrente dato la prova di rapporti di associazione in partecipazione doveva per forza trattarsi di lavoro di tipo subordinato.
Premesso che l’Inps ha agito nei confronti dell’azienda, pertanto l’onere della prova è a suo carico deve rilevarsi che:
Sebbene sia vero che la verifica della sussistenza della associazione in partecipazione escluderebbe necessariamente il carattere subordinato del rapporto, non è vero l’inverso, e cioè che, quando non venga pienamente dimostrata l’esistenza dell’associazione in partecipazione, si debba necessariamente concludere che il rapporto era invece subordinato, perché per la configurabilità di quest’ultimo occorre la prova positiva di specifici elementi che non possono ritenersi sussistenti per la carenza di prova su una tipologia diversa.
La Corte infine fa riferimento ad un’altra Sentenza, la n. 2728/2010 con la quale la stessa Corte affermava che:
In tema di rapporto di lavoro, la verifica della sussistenza di un’associazione in partecipazione esclude necessariamente il carattere subordinato, ma non è vero l’inverso, perchè per la configurabilità del rapporto subordinato occorre la prova positiva di specifici elementi che non possono ritenersi sussistenti per la carenza di prova su una tipologia diversa.