Una interessante ordinanza della Corte di Cassazione è stata recentemente emanata in tema di pensione di invalidità civile, ovvero quella provvidenza economica riconosciuta ai mutilati ed invalidi civili aventi un’età inclusa tra i 18 anni e i 67 anni, verso i quali sia stata acclarata una totale inabilità lavorativa, vale ad die una invalidità corrispondente al 100%. Detta pensione rappresenta un sostegno a carattere assistenziale, e perciò sconnesso dalla presenza eventuale di un rapporto assicurativo e contributivo dell’avente diritto.
Ebbene, secondo la Suprema Corte non sussiste alcun diritto alla pensione di invalidità civile dopo i 65 anni di età. I giudici di legittimità hanno infatti evidenziato con la recente ordinanza n. 3011/2023 che il trattamento previdenziale non può essere attribuito a favore di soggetti il cui stato di invalidità si sia perfezionato con decorrenza posteriore al compimento dei 65 anni di età anagrafica. Si tratta di un principio già noto in giurisprudenza, ma ribadito dalla Cassazione con questo recente provvedimento con cui si accoglie il ricorso dell’Inps contro una signora che chiedeva l’assegno in oggetto.
Vediamo più da vicino la vicenda.
Pensione d’invalidità, stop dopo i 65 anni: il caso concreto
Di fatto quello della Cassazione è un provvedimento di segno opposto rispetto alla richiesta di una donna di 65 anni, la quale aveva fatto domanda per la pensione di invalidità civile, ma avendo già compiuto 65 anni di età. Nel corso dell’iter giudiziario in particolare era emersa la contrapposizione tra la richiesta della donna e la posizione dell’istituto di previdenza, in tema di accertamento dello stato di invalidità civile e dei requisiti di accesso alla citata pensione.
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Ebbene, se dapprima l’istanza della donna era stata respinta dal tribunale, successivamente invece fu accolta in appello, sede nella quale dal gennaio 2015 venne riconosciuta la sussistenza degli estremi per l’accesso alla prestazione di invalidità civile. La vicende giudiziaria però proseguì fino in Cassazione, perché l’istituto di previdenza si oppose e fece impugnazione di fronte alla Suprema Corte, tenuto conto dell’età della dell’anziana percettrice della pensione di invalidità (65 anni già compiuti).
Nella recente ordinanza menzionata, i giudici della Suprema Corte hanno rimarcato in particolare che:
- la pensione d’inabilità nonché l’assegno di invalidità civile non possono essere attribuiti a soggetti il cui stato di invalidità si evidenzi con decorrenza posteriore al compimento dei 65 anni,
- e questo in ragione del sistema normativo vigente il quale, per gli over 65, comporta l’alternativo beneficio dell’erogazione dell’assegno sociale.
In altre parole, secondo il provvedimento in oggetto, la donna avrebbe dovuto perdere il beneficio della pensione di invalidità al compimento dei 65 anni, così come disposto dalla legge e dagli adeguamenti annuali dell’epoca di riferimento.
Le ragioni dell’INPS: ecco cosa prevede la Legge
La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’istituto di previdenza contro la anteriore decisione giudiziaria, favorevole alla donna, sulla scorta di quanto previsto nel decreto legislativo n. 509/1988. Detto provvedimento dispone in particolare che la pensione di inabilità e la pensione non reversibile di cui si trova traccia nel testo della legge n. 381 del 1970 sono concesse, rispettivamente, ai mutilati ed invalidi civili ed ai sordomuti di età inclusa fra i 18 e i 65 anni, fermi restando i requisiti e le condizioni previste dalla legislazione vigente.
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Ma attenzione perché la soglia di età cambia sulla base dei requisiti pensionistici aggiornati e infatti da quest’anno la pensione di invalidità civile e quella di inabilità sono assegnate dai 18 anni ai 67 anni. Il requisito dei 65 anni fa infatti riferimento alle condizioni di accesso alla pensione di invalidità, valevoli all’epoca della controversia giunta in Cassazione.
Ricapitolando è in queste norme di legge la risposta al caso finito sotto la lente della Suprema Corte. E’ possibile accedere ad un trattamento distinto, vale a dire l’assegno sociale e questo vuol dire che dopo aver conseguito l’età per la pensione viene meno il diritto alla pensione di invalidità e di inabilità. Infatti si accede all’assegno sociale che sostituisce i due trattamenti anteriori, e a questa prestazione ha diritto la donna coinvolta nel caso in oggetto.
Conclusioni
Lo rimarchiamo per chiarezza: il raggiungimento della soglia d’età dei 65 anni non implica la consequenziale perdita di ogni tipo di trattamento di favore. La legge indica infatti l’accesso a un beneficio alternativo, il citato assegno sociale, che opera altresì in via sostitutiva rispetto ad altri trattamenti già versati fino all’età massima prevista dalle norme in materia.
Perciò il principio ribadito dalla Corte è che una volta conseguita l’età per la pensione viene meno il diritto alla pensione di invalidità e di inabilità; in quanto il soggetto pur con un grado di invalidità, accede all’assegno sociale sostitutivo dei precedenti trattamenti.
Infine ribadiamo che dal 2023 la pensione di invalidità civile e quella di inabilità sono valevoli nell’arco di tempo che va dai 18 anni ai 67 anni – e non 65; il requisito anagrafico si aggiorna sulla scorta dei requisiti pensionistici. Oggi dunque chi ha già compiuto 67 anni non può più domandare o comunque continuare a godere della pensione di invalidità civile o di inabilità, ma deve fare riferimento all’assegno sociale. Di fatto dunque la recente ordinanza della Suprema Corte riflette la legge di riferimento, che vale secondo l’arco temporale per il quale l’istituto di previdenza aveva ritenuto non dovuta la pensione di invalidità alla donna.