La condizione che impone ai lavoratori di maturare un importo minimo di pensione per garantire l’accesso al trattamento previdenziale anticipato è inammissibile. Dunque, secondo la normativa europea, uno Stato membro UE non può stabilire in autonomia che l’importo della pensione da ricevere sia superiore all’importo minimo della pensione che detto lavoratore avrebbe diritto a ricevere all’età pensionabile.
A stabilirlo è la Corte di Giustizia UE nella sentenza del 6 dicembre 2019, con riguardo alle cause riunite n. C-398/18 e C-428/18. Nel caso di specie, gli Enti previdenziali hanno respinto le domande di pensione di alcuni lavoratori con la motivazione che questi ultimi non raggiungevano quello della pensione minima mensile. La questione, in particolare, ruota attorno all’art. 48 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). L’articolato parla delle misure necessarie per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consente di assicurare ai lavoratori migranti dipendenti e autonomi e ai loro aventi diritto:
- il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste;
- il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.
Nel caso in concreto, la Corte di Giustizia UE si è chiesta se il predetto articolo debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per accedere alla pensione di vecchiaia anticipata, imponga il requisito base secondo il quale l’importo della pensione da ricevere sia superiore alla pensione minima che spetterebbe all’interessato in forza della medesima normativa nazionale.
Ciò senza prendere anche in considerazione la pensione effettiva che l’interessato possa percepire, a titolo di prestazione della medesima natura, da parte di un altro o di altri Stati membri.
Pensione anticipata: normativa europea
In merito alla pensione anticipata, la normativa europea prevede che:
- il beneficiario di prestazioni di vecchiaia non può percepire un trattamento inferiore alla prestazione minima fissata dalla legislazione dello Stato membro di residenza;
- l’istituzione competente di tale Stato deve, se del caso, versargli un’integrazione pari alla differenza tra la somma delle prestazioni dovute e l’importo della prestazione minima.
Pensione anticipata minima: parere della Corte di Giustizia UE
Sul punto, la Corte di Giustizia UE afferma un principio interessante in tema pensioni in ambito UE. Nello specifico, secondo i giudici europei, il rifiuto delle autorità competenti di uno Stato membro di prendere in considerazione, ai fini della determinazione dell’ammissibilità ad una pensione anticipata, le prestazioni pensionistiche cui un lavoratore che ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione abbia diritto in un altro Stato membro, è tale da mettere suddetto lavoratore in una situazione meno favorevole di quella di un lavoratore che ha completato tutta la sua carriera nel primo Stato membro.
Nel deriva che non è assolutamente in linea con il regolamento europeo la normativa di uno Stato membro che impone, come condizione di ammissibilità di un lavoratore ad una pensione anticipata, che l’importo della pensione da ricevere sia superiore all’importo minimo della pensione che detto lavoratore avrebbe diritto a ricevere all’età pensionabile di legge.
Per “pensione da ricevere”, conclude la Corte di Giustizia UE, s’intende esclusivamente il trattamento previdenziale a carico di tale Stato membro. Non si tiene conto, quindi, della pensione che il lavoratore potrebbe ricevere a titolo di prestazioni equivalenti a carico di uno o più altri Stati membri.