L’INPS, con il messaggio n. 3748 dell’11 novembre 2024, ha fornito chiarimenti importanti relativi al trattamento previdenziale dei pensionati “vecchi iscritti” che si reimpiegano o continuano a lavorare dopo il pensionamento.
La questione riguarda l’applicazione del massimale annuo della base contributiva e pensionabile, un aspetto cruciale per coloro che hanno iniziato a contribuire prima del 1° gennaio 1996. L’istituto, dopo aver consultato il Ministero del Lavoro, ha confermato che per tali lavoratori il massimale non si applica, anche se riprendono un’attività lavorativa.
Cosa prevede la normativa
La norma di riferimento è l’articolo 2, comma 18, della legge n. 335 del 1995, che introduce il massimale contributivo e pensionabile per i nuovi iscritti alle forme di previdenza obbligatoria dal 1° gennaio 1996. Questo massimale rappresenta il limite massimo di reddito sul quale è possibile calcolare i contributi pensionistici.
Tuttavia, i lavoratori già iscritti a una forma di previdenza obbligatoria prima di tale data, definiti “vecchi iscritti”, sono esonerati da questo limite.
Il chiarimento dell’INPS
Il punto centrale del messaggio INPS riguarda la possibilità che il “vecchio iscritto” possa perdere tale status nel caso in cui, dopo il pensionamento, torni a lavorare. Secondo il parere del Ministero del Lavoro, il reimpiego o la prosecuzione del lavoro non altera la data di prima iscrizione alla previdenza obbligatoria. Pertanto, il pensionato che si reimpiega mantiene lo status di vecchio iscritto e continua a beneficiare del regime esente dal massimale contributivo.
Questo significa che, indipendentemente dalla fruizione di un trattamento pensionistico, il lavoratore può continuare a versare contributi senza essere soggetto al massimale. L’interpretazione fornita dal Ministero evita, dunque, una potenziale penalizzazione per quei pensionati che decidono di riprendere l’attività lavorativa.
Esempi pratici
Esempio 1: Reimpiego del pensionato in un’azienda
- Scenario: Un lavoratore nato nel 1960, iscritto alla previdenza obbligatoria nel 1985, va in pensione nel 2024 e decide di tornare al lavoro nel 2025 con un contratto a tempo determinato presso un’azienda.
- Applicazione: Il lavoratore continua a essere considerato un “vecchio iscritto” e il massimale annuo della base contributiva non si applica. I contributi previdenziali vengono calcolati sull’intera base imponibile, senza limiti.
Esempio 2: Prosecuzione del rapporto di lavoro dopo la pensione
- Scenario: Un dipendente, iscritto alla previdenza obbligatoria nel 1990, continua a lavorare per la stessa azienda anche dopo aver ottenuto il trattamento pensionistico.
- Applicazione: La data di prima iscrizione resta valida e il lavoratore mantiene il trattamento previdenziale senza l’applicazione del massimale.
Esempio 3: Attività libero-professionale dopo il pensionamento
- Scenario: Un avvocato pensionato, iscritto all’ente previdenziale specifico dal 1988, decide di avviare una nuova attività come libero professionista dopo la pensione.
- Applicazione: Anche in questo caso, il professionista non perde lo status di vecchio iscritto. Tuttavia, dovrà rispettare le norme specifiche dell’ente previdenziale di appartenenza per il calcolo e la gestione dei contributi.
Conclusioni
La precisazione fornita dall’INPS, in accordo con il Ministero del Lavoro, offre certezza e tutela per i pensionati che desiderano o necessitano di reimpiegarsi. Non solo viene mantenuto il regime esente dal massimale, ma si evita anche l’insorgere di problematiche interpretative che potrebbero penalizzare chi si rimette in gioco nel mercato del lavoro.
Per chi intraprende attività libero-professionali, è comunque fondamentale consultare le specifiche normative dell’ente previdenziale di riferimento per assicurarsi di rispettare tutte le disposizioni applicabili.
Per tutti i dettagli, è possibile consultare il messaggio 11 novembre 2024, n. 3748.