Il sistema pensionistico dopo la Riforma Fornero, prevede che i lavoratori possono continuare a lavorare anche oltre l’età pensionabile, ovvero dopo il raggiungimento dei requisiti minimi di accesso alla pensione. Si tratta comunque di una possibilità per prolungare il rapporto di lavoro; questa non implica in nessun caso un automatismo e quindi non vi può essere la pretesa del lavoratore di lavorare oltre i limiti minimi ordinari stabiliti dalla predetta norma.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20089 del 30 luglio 2018, secondo la quale per poter continuare a lavorare fino a 70 anni è richiesta la comune volontà tra datore di lavoro e lavoratore.
Licenziamento per raggiunti limiti di età: la vicenda
Il caso riguarda un’azienda che aveva deciso di interrompere e quindi risolvere il rapporto di lavoro del proprio dipendente per raggiunti limiti d’età. Sia il tribunale territoriale che la Corte di Appello di Milano hanno dato ragione all’azienda.
La decisione è motivata dal fatto che la Riforma Fornero (art. 24 della L. n. 214/2011) non fornisce al lavoratore un diritto potestativo. In altre parole, il lavoratore non può unilateralmente decidere di restare sul posto di lavoro soltanto per soddisfare un interesse personale.
La predetta norma, infatti, non crea un automatismo in questo senso; ma rende possibile la continuazione del rapporto di lavoro soltanto in caso di comune accordo tra le parti. Non esiste in questo caso nemmeno il gravame della discriminazione eventualmente adottato dall’azienda.
Avverso tale decisione il lavoratore ha inteso effettuare controricorso presso la Corte di Cassazione per le seguenti motivazioni:
- innanzitutto incolpava l’azienda di non aver applicato correttamente l’art. 24, co. 4 della Riforma Fornero (L. n. 214/2011). Cioè di non aver distinto il differente sistema previdenziale al quale lui appartenenza, ossia l’INPGI;
- non è stato tenuto conto del fatto che l’INPGI è ente diverso dalle Casse privatizzate in quanto non solo ha una gestione obbligatoria ma anche sostitutiva.
Lavorare oltre l’età pensionabile: la sentenza
Gli Ermellini affrontano il caso basandosi sulla sentenza n. 17589/2015 delle Sezioni Unite. In via preliminare, i giudici affermano che le disposizioni contenute nell’art. 24, comma 4 della Riforma Fornero possono avere una estensione così ampia da abbracciare anche enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza privatizzati ai sensi del D. Lgs. n. 509/1994.
L’orientamento giurisprudenziale è giustificato dal fatto che, diversamente, sarebbe incomprensibile la ragione per cui il Legislatore dopo aver affermato la rilevante divaricazione, consenta allo stesso tempo una commistione tra i diversi sistemi.
Sistemi previdenziali, questi, che non possono essere fondati su principi organizzativi diversi; poiché i requisiti di contribuzione e le modalità di godimento delle prestazioni pensionistici sono fissati direttamente dalla legge.
In definitiva, i Giudici affermano che la legge, nell’incentivare il proseguimento del rapporto fino ai 70 anni, non individui un diritto soggettivo in capo al lavoratore indipendentemente dalla volontà comune del datore di lavoro. Quindi, tale diritto non deve essere inteso come automatico per il lavoratore; è necessario pertanto che si verifichi la reciproca convenienza di continuare il rapporto di lavoro oltre i requisiti minimi di accesso alla pensione.
La norma, dunque, si pone semplicemente come favore nei confronti del prolungamento del rapporto lavorativo, che presuppone necessariamente la comune volontà delle parti per la prosecuzione dello stesso.
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