Il Garante della Privacy, con newsletter n. 523 del 21 maggio scorso, ha rimarcato quali sono gli obblighi di legge, in materia di utilizzo di strumenti di videosorveglianza. Nel caso concreto sottoposto all’attenzione dell’Autorità è stato analizzato il comportamento di un Comune che aveva installato il cd. “occhio elettronico” nelle vicinanze dei dispositivi atti alla rilevazione delle presenze.
Proprio dall’utilizzo delle informazioni raccolte con questo mezzo di videosorveglianza, il Comune datore di lavoro aveva raccolto informazioni e dati personali legati ad una lavoratrice, poi sfruttati a fini disciplinari. Ne è conseguita la segnalazione della donna, da cui poi è scaturita la sanzione del Garante Privacy nei confronti della PA in cui la lavoratrice era in servizio.
Vediamo insieme i contenuti di questa vicenda, le contestazioni mosse, le difese del Comune e la decisione adottata dal Garante Privacy con provvedimento dell’11 aprile scorso. Esso infatti è utile a capire e ricordare qual è il perimetro entro cui può agire il datore di lavoro, nell’attività di raccolta informazioni collegabili ai propri dipendenti.
Limiti all’uso degli strumenti di videosorveglianza in ufficio: il caso concreto
Il Garante Privacy è intervenuto dopo la segnalazione effettuata da parte di una lavoratrice alle dipendenze presso un Comune italiano. La donna lamentava l’installazione di una telecamera in assenza delle necessarie autorizzazioni, nell’atrio dell’ente locale e presso i dispositivi di rilevazione delle presenze dei dipendenti.
Proprio l’utilizzo della telecamera aveva portato a conseguenze disciplinari nei suoi confronti: infatti, tramite la visualizzazione delle immagini registrate, la PA aveva contestato alla donna più violazioni dei propri doveri d’ufficio. In particolare, tra esse spiccava l’inosservanza dell’orario di servizio.
L’iniziativa della donna ha determinato l’Autorità per la protezione dei dati personali ad avviare l’istruttoria e a richiedere chiarimenti all’ente, che si è difeso sostenendo peraltro che il dispositivo per la raccolta di immagini era stato inserito nell’atrio per ragioni legate alla sicurezza dei lavoratori. Infatti in passato – segnalava il Comune – si erano verificati episodi di aggressioni, ai danni di un’assistente sociale e di un assessore. Da lì la decisione di installare una videocamera all’ingresso dell’edificio.
L’istruttoria presso il Garante per la protezione dei dati personali
Come rimarcato nella citata newsletter che, con periodici aggiornamenti, dettaglia le attività di maggior rilievo svolte dal Garante, l’installazione degli “occhi elettronici” nei luoghi di lavoro deve sempre rispettare gli obblighi di cui allo Statuto dei lavoratori, ma non solo. Anche le garanzie previste a favore dei dipendenti, di cui alle disposizioni vigenti in tema di privacy, debbono essere egualmente applicate e rispettate.
In particolare, nell’ambito dell’istruttoria successiva alla segnalazione della donna, il Garante ha rilevato che l’ente in questione:
- non aveva assicurato l’osservanza delle procedure di garanzia previste dalla disciplina di settore in tema di controlli a distanza;
- aveva usato le immagini raccolte con lo strumento di videosorveglianza per giustificare l’emissione di un provvedimento disciplinare verso la lavoratrice.
Nel corso dell’iter di accertamento dei fatti presso l’Autorità, era infatti emerso che agli interessati (lavoratori e visitatori della sede del Comune) non era stata data la doverosa informativa sui dati personali, trattati grazie alla presenza della telecamera.
Non solo. Nel provvedimento l’Autorità ha osservato che, per quanto attiene alle finalità di trattamento perseguita con la telecamera di videosorveglianza, il Comune – nell’ambito dell’istruttoria e nelle proprie memorie difensive – ha sostenuto tesi tra loro eterogenee e in reciproca contraddizione.
Il ruolo dello Statuto dei lavoratori e del Codice della Privacy e i limiti imposti ai datori di lavoro
Nel provvedimento adottato il Garante rimarca l’importanza, anche per questo caso concreto, di quanto previsto nel Codice in materia di protezione dei dati personali e nello Statuto dei lavoratori.
Infatti nel testo si può trovare scritto quanto segue:
Per effetto del rinvio contenuto nel Codice in materia di protezione dei dati personali alle preesistenti disposizioni nazionali di settore che tutelano la dignità delle persone sul luogo di lavoro, con particolare riferimento ai possibili controlli da parte del datore di lavoro (art. 114 “Garanzie in materia di controllo a distanza”), l’osservanza dell’art. 4 della l. 20 maggio 1970, n. 300 costituisce una condizione di liceità del trattamento.
L’art. 4, comma 1, della l. 20 maggio 1970, n. 300 – lo Statuto dei lavoratori – dispone, infatti, che gli impianti audiovisivi e i differenti dispositivi dai cui derivi altresì la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti, possono essere utilizzati soltanto per ragioni organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.
Inoltre tali strumenti possono essere installati:
previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali […]. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, […] della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro”.
La legge altresì chiarisce che le informazioni raccolte sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto previsto dal Codice Privacy.
Le violazioni commesse dal Comune e rilevate dall’Autorità
Il Garante ha accertato che il Comune ha trattato dati personali legati ai propri lavoratori, ossia le immagini acquisite mediante la telecamera di videosorveglianza in oggetto, in mancanza di un accordo ad hoc, con le organizzazioni sindacali, o di un’autorizzazione concessa dall’Ispettorato del Lavoro.
Nel procedimento è in particolare emerso che tale autorizzazione è stata ottenuta soltanto in un secondo tempo e, dunque, fino a tale data non rispettando i presupposti e le garanzie disposte dalla disciplina in materia di controlli a distanza.
Ecco perché, secondo il Garante, si è palesata una violazione degli artt. 5, par. 1, lett. a), 6 e 88 del Regolamento UE n. 679 del 2016, in materia di protezione dei dati personali, nonché dell’art. 114 del Codice della Privacy, in riferimento all’art. 4, comma 1, della l. n. 300 del 1970.
Si confermano, pertanto, le valutazioni preliminari dell’Ufficio e si rileva l’illiceità del trattamento di dati personali compiuto dal Comune, per aver trattato dati personali con un dispositivo video, anche a fini disciplinari nei confronti di una lavoratrice subordinata, e in assenza di trasparenza nei confronti degli interessati.
La sanzione inflitta dal Garante Privacy al Comune
Alla luce degli elementi raccolti dal Garante che – come previsto dall’art. 154 del Codice della Privacy – agisce anche e soprattutto per controllare il rispetto delle normative europee e nazionali in tema di trattamento dei dati personali ed esaminare reclami e segnalazioni di cittadini ed enti, per il Comune – responsabile delle citate violazioni – è stata disposta una sanzione amministrativa pecuniaria di un importo pari a 3mila euro. Per adottarla il Garante ha adottato un’ordinanza di ingiunzione ad hoc.
In base ai controlli effettuati dal Garante, infatti, la pubblica amministrazione, pur avendo individuato alcuni comportamenti non corretti sul piano del rispetto degli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà sanciti – come per il rapporto di lavoro privato – dagli artt. 2104 e 2105 del Codice Civile, ha altresì trattato illecitamente i dati personali della donna che, a sua insaputa, veniva ‘spiata’ dalla telecamera posizionata nell’atrio del Comune, presso l’apparecchio per la rilevazione presenze.
Oltre alle conseguenze economiche per il Comune, il Garante Privacy ha altresì imposto a quest’ultimo di dare a tutti gli interessati (lavoratori e visitatori presso la sede comunale) l’opportuna informativa sui dati personali trattati con l’installazione della telecamera in oggetto. Nel corso dell’istruttoria era infatti emerso che la PA non aveva reso tutti gli elementi informativi di cui al Regolamento europeo n. 679 del 2016, né potevano essere ritenuti idonei differenti documenti redatti dal titolare, per differenti fini.