Di qualche giorno fa è la notizia dell’iniziativa del noto Gruppo bancario Intesa SanPaolo, il quale vorrebbe introdurre la cosiddetta settimana lavorativa corta di 4 giorni a lavoro, sull’onda di un trend lanciato in varie parti del mondo con ottimi risultati. Secondo la tesi dell’istituto di credito, migliorerebbero resa a lavoro e benessere dei lavoratori, i quali avrebbero di fatto un terzo giorno libero – a patto di restare in ufficio un’ora in più.
In particolare, nel corso dei negoziati per il rinnovo del CCNL relativamente allo smart working, il gruppo bancario ha discusso con i sindacati anche la possibilità di far lavorare alcuni dei suoi dipendenti un’ora in più al giorno, in cambio di una giornata in meno in ufficio e di uno stipendio che si conserverebbe invariato. Di fatto si tratterebbe di non meno di 9 ore al giorno di lavoro, ma vero è che la proposta è stata accolta freddamente da non poche sigle, perché essa coinvolgerebbe soltanto una parte dei dipendenti.
Resta che il fenomeno della settimana lavorativa corta è in crescita a livello globale. Ciò quasi a volerne testimoniare una effettiva idoneità a conciliare meglio lavoro e tempo libero, anche se non tutti gli esperti HR ne danno un parere positivo. C’è infatti chi ritiene che siano comunque preferibili la flessibilità di orario e lo smart working, ove sia possibile attuarli, specialmente se la settimana corta è frutto di una compressione dell’orario di lavoro. Ne parleremo più nel dettaglio nel corso di questo articolo.
Cerchiamo allora di comprendere, in sintesi, quali potrebbero essere i vantaggi o gli svantaggi, gli annessi e connessi di un’introduzione estesa della settimana corta. I dettagli.
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Settimana lavorativa corta di 4 giorni anche in Italia? Il contesto di riferimento
La recente notizia di Intesa SanPaolo ci è dunque di spunto per parlare della settimana corta a lavoro, ed infatti la domanda che ci poniamo è la seguente: si può davvero utilizzare anche nel nostro paese? E se sì, con quali vantaggi? Ebbene, anzitutto partiamo da questo dato certo: il mondo del lavoro sta cambiando radicalmente, e questo cambiamento è stato accelerato notevolmente a seguito della pandemia. L’introduzione estesa dello smart working, insieme con varie modalità di lavoro flessibile, ormai non è più una novità per milioni di lavoratori. E’ emerso che questo cambiamento piace, migliora l’umore e favorisce una miglior performance lavorativa, pur svolta entro le mura domestiche.
In altre parole, i dipendenti post-pandemia sono ormai adattati ad un nuovo modo di concepire l’orario di lavoro, una sorta di nuova normalità o routine giornaliera che ha dimostrato di non andar contro il profitto aziendale, ma tutt’altro. Coerentemente con questo ecco il lancio dell’idea della settimana lavorativa corta di 4 giorni da parte di Intesa SanPaolo che, a ruota, potrebbe essere presto seguita da altri grandi Gruppi e aziende italiane.
Non dimentichiamo poi che a livello globale – in paesi quali ad es. il Giappone, la Spagna o la Nuova Zelanda – non sono mancati progetti sperimentali ad hoc lanciati dai reparti HR di note aziende. Detti progetti hanno dimostrato che la settimana lavorativa può davvero essere alla base di una miglior combinazione tra risultati lavorativi e umore del lavoratore, tra tempo speso per il lavoro e tempo libero. Ne beneficia la psiche, con un calo dello stress e più ore da dedicare ai rapporti con familiari e amici e ai propri hobby e passioni.
Compressione o riduzione di orario? Qual è la differenza
Attenzione alle distinzioni, perché aiutano sempre a capire con precisione di che cosa si parla – e ciò vale anche con riferimento alla settimana corta. In realtà due sono le possibili ipotesi di settimana lavorativa corta, vediamole di seguito:
- riduzione di orario di lavoro, con una settimana lavorativa che diventa di 4 giorni e non più di 5. Il dipendente guadagna in concreto un giorno libero, lavorando un giorno in meno e, soprattutto, la settimana lavorativa scende a 32 ore settimanali invece che le canoniche 40, con un weekend lungo che comprende anche il venerdì.
- compressione dell’orario di lavoro. E’ l’ipotesi lanciata dal Gruppo Intesa SanPaolo, che intenderebbe far lavorare un’ora in più ogni giorno una parte del proprio personale, in modo da ‘liberare’ un giorno ma conservando lo stesso stipendio. L’orario di lavoro resterebbe dunque lo stesso, ma sarebbe compresso su 4 giorni.
Meno ore a lavoro come espressione di una società in evoluzione
Ambo le ipotesi hanno oggi grande rilievo e, specialmente nelle grandi aziende, diventeranno sicuramente argomenti di discussione e di progetti negli uffici delle risorse umane. Introdurre la settimana lavorativa corta, con compressione o con riduzione dell’orario, è di fatto una conseguenza di uno stile di vita imposto dalla società moderna e dai suoi nuovi ritmi. Oggi non pochi datori di lavoro guardano molto di più a quanto un lavoratore rende, alla sua performance e danno meno importanza alle ore di lavoro effettivamente svolte. In altre parole, un passo avanti a favore della meritocrazia.
Senza contare, oltre alle conseguenze imposte dalla pandemia (restrizioni e smart working), i dati che emergono dalle ricerche e dagli studi sul cd. workaholism – ovvero la dipendenza dall’attività lavorativa – e sulle conseguenze di una vita lavorativa troppo stressante e con troppe ore di lavoro. Lavorare in modo eccessivo, e magari anche in ambienti di lavoro ‘pesanti’, non fa bene alla salute e può portare nel tempo allo sviluppo di vari disturbi psico-fisici.
Quali sono i benefici della settimana lavorativa corta
Non vi sono dubbi: non è vero che lavorare di più equivale ad essere più produttivi. Più studi negano questo luogo comune: pensiamo ad esempio a quello promosso dall’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che ha riscontrato come, oltre un certo limite, lavorare molte ore comporti una drastica riduzione della produttività. Una sorta di stanchezza fisiologica, che si ripercuote sul profitto aziendale.
Non solo. Secondo ulteriori dati e statistiche, alcuni dei Paesi più produttivi del mondo (soprattutto i Paesi scandinavi) hanno settimane lavorative molto corte, e talvolta anche al di sotto delle 30 ore a settimana. Quasi a voler ribadire che profitto e resa di ogni singolo lavoratore non ‘fa rima’ per forza con un numero elevato di ore in ufficio.
Anzi meno ore conducono, come detto, a prestazioni di lavoro di più alto livello, a maggior spirito collaborativo tra colleghi e una maggior soddisfazione e motivazione. Ne beneficia insomma la salute personale, oltre che il singolo datore di lavoro: infatti con la settimana lavorativa corta si hanno più ore per il riposo e per ricaricare le energie psicofisiche. In altre parole, meno tempo al lavoro può essere un ottimo modo per essere poi più lucidi e concentrati quando in concreto bisogna esserlo.
Senza contare altri benefici quali il minor inquinamento con dipendenti che, con una settimana lavorativa corta, potrebbero spostarsi un giorno in meno e con consumi degli edifici praticamente annullati per un ulteriore giorno alla settimana. In tempi di costi boom delle bollette energetiche è sicuramente una buona notizia.
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Ci sono svantaggi o limiti nella settimana lavorativa corta?
Infine, potremmo chiederci degli eventuali svantaggi o limiti. Se vi sono, sono ben pochi rispetto ai vantaggi: tra essi potremmo citare il fatto che non tutti i settori lavorativi potrebbero, in concreto, adottare la settimana lavorativa corta (ad. es ristorazione o supermercati) e che vi potrebbero essere comunque lavoratori desiderosi di lavorare di più per aver un maggior stipendio – pur con minor tempo libero. Altra problematica potrebbe essere una maggior difficoltà a conciliare orari del team di lavoro con quello del singolo dipendente.
Uno svantaggio potrebbe anche essere la compressione di orario, il quale potrebbe non essere gradito a qualche lavoratore, ma l’alternativa potrebbe essere la riduzione dell’orario, come sopra indicato.