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di Massima Di Paolo - 16 Marzo 2012
Uno dei punti della riforma del lavoro è il riordino delle diverse tipologie contrattuali atipiche e precarie presenti nel nostro ordinamento; sono quegli interventi sulla flessibilità in entrata che mirano a rendere “sconvenienti” per i datori di lavoro il ricorso ad un utilizzo improprio dei contratti esistenti che, hanno reso precari una intera generazione di lavoratori.
C’è poi la riforma degli ammortizzatori sociali e dell’art 18, su cui, dopo un primo stop dei sindacati, sembra finalmente spuntare un accordo sia con le parti sociali che con i partiti politici. Ma andiamo con ordine.
La bozza della riforma, consegnata alle parti sociali, reperibile sui siti delle maggiori testate nazionali , è composta, allo stato, di due documenti: uno relativo ai contratti, “linee di intervento sulla disciplina delle tipologie contrattuali2 e l’altro, dedicato agli ammortizzatori sociali denominato appunto, “Ammortizzatori Sociali, Proposte di riforma – Bozza”.
Analizziamo il documento sui contratti: l’obiettivo generale è di “Rendere più dinamico il mercato del lavoro, soprattutto a vantaggio delle fasce svantaggiate (a partire dai giovani), contrastando al contempo il fenomeno della precarizzazione della forza lavoro”.
Il disincentivo all’uso del contratto a tempo determinato è perseguito, principalmente, tramite un incremento del relativo costo contributivo, destinato al finanziamento dell’assicurazione sociale per l’impiego (attuale assicurazione contro la disoccupazione involontaria).
Questa maggiorazione contributiva può essere recuperata (trasformandosi in un 2premio di stabilizzazione”) nel caso che all’assunzione o alle assunzioni a termine faccia seguito l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore.
Per far fronte all’esigenza di limitare il fenomeno della successione abusiva di contratti a termine, viene resa più rigida la disciplina del rinnovo dei contratti a termine, tramite “l’aumento dell’intervallo temporale che deve esservi tra la scadenza di un contratto e la stipulazione di quello successivo”.
Circa le sanzioni in caso di contratto illegittimo, “il regime continuerà ad essere basato sul doppio binario della “conversione” del predetto contratto e del riconoscimento al lavoratore di un importo risarcitorio compreso tra 2,5 e 12 mensilità retributive secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010 (cd. Collegato lavoro), di recente dichiarato legittimo dalla sentenza n. 303/2011 della Corte costituzionale”.
Si propone di eliminare l’onere di impugnazione stragiudiziale del contratto a termine entro 60 giorni dalla cessazione dello stesso, riducendo, contemporaneamente, dagli attuali 330 giorni a 270 (9 mesi) il termine entro il quale il lavoratore deve proporre, a pena di decadenza, l’azione in giudizio.
L’apprendistato mira a diventare il metodo principale di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Nella bozza vengono proposti alcune modifiche sulle norme rivolte a:
La proposta è di istituire “un obbligo di comunicazione amministrativa, contestuale al preavviso da dare al lavoratore, di ogni variazione di orario attuata in applicazione di clausole elastiche o flessibili nell’ambito del part-time verticale o misto (che è la forma di part-time che maggiormente si presta ad abusi).
Si mira a disincentivare l’utilizzo di questa tipologia contrattuale, sia attraverso disincentivi normativi che contributivi attraverso:
E’ proposta, una norma interpretativa sul regime sanzionatorio, che chiarisce, che l’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003, ed anche al fine di evitare che la questione continui ad essere riproposta ai giudici, contiene una presunzione assoluta di subordinazione.
Sul versante contributivo, è introdotto un incremento dell’aliquota contributiva prevista a favore della Gestione separata INPS, così da proseguire il percorso di avvicinamento alle aliquote previste per il lavoro dipendente”.
“Al fine di contenere il rischio che lo strumento del contratto “a chiamata”, possa essere utilizzato come copertura nei riguardi di forme di impiego irregolare del lavoro, si prevede l’obbligo di effettuare una comunicazione amministrativa, con modalità snelle (compreso il messaggio telefonico), in occasione di ogni chiamata del lavoratore.
si vorrebbe introdurre delle correzioni all’art. 70 del d.lgs. n. 276/2003, come modificato dalle legge n.33/2009 e n. 191/2009, finalizzate a restringere il campo di operatività dell’istituto; sul regime orario dei buoni (voucher); sull’introduzione di modalità snelle di comunicazione amministrativa dell’inizio dell’attività lavorativa.
Per contrastare l’abuso del ricorso a collaborazioni professionali con titolarità di partita IVA, sono proposte norme rivolte a far presumere, salvo prova contraria, il carattere coordinato e continuativo (e non autonomo ed occasionale) della collaborazione tutte le volte che essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno, da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi (anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività imprenditoriale), e comporti la fruizione di una postazione di lavoro presso il committente.
Così facendo, si precisa nel documento del ministero, data la vigente normativa sanzionatoria delle collaborazioni coordinate e continuative prive di un progetto specifico, l’eventuale accertamento giudiziale del carattere coordinato e continuativo della collaborazione comporta, pressoché automaticamente, l’accertamento del carattere subordinato del rapporto.
Rimangono comunque escluse da tali presunzioni, così come lo sono dalla disciplina del progetto, le collaborazioni professionali realizzate con professionisti iscritti ad albi, per attività riconducibili almeno in misura prevalente all’attività professionale contemplata dall’albo in discorso.
E’ infine allo studio una revisione e razionalizzazione dei requisiti e modalità per l’apertura di una Partita Iva.
Si vuole eliminare il fenomeno delle associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, il cui abuso è perseguito, anzitutto, tramite la limitazione del numero massimo degli associati di lavoro (o di capitale e lavoro), tale da lasciare operante l’istituto soltanto nelle piccole attività (ove operano sino a cinque soggetti, compreso l’associante), e fatte salve le associazioni costituite in ambito familiare, nonché, eventualmente, quelle aventi ad oggetto lo svolgimento di attività di elevato contenuto professionale.
E’ proposta una norma che recepisce l’indicazione giurisprudenziale in merito all’effettività della partecipazione agli utili ed alla consegna del rendiconto come connotati qualificanti dell’istituto. In mancanza di tale effettività, il rapporto si presume di natura subordinata, fatta salva la prova contraria. E’ previsto, infine, un incremento dell’aliquota contributiva per la Gestione separata INPS, nella stessa misura delle collaborazioni a progetto.
Sembra che si sia trovata la quadra anche sul fatidico art 18 Statuto dei Lavoratori; sia con le parti sociali che, con i partiti politici, a seguito dell’incontro tra monti e i leader politici avvenuto nella nottata scorsa.
Continua a rimanere grande riserbo in merito ma, qualcosa è trapelato: si parla di mantenerlo in vigore per i casi di discriminazione, giusta causa e al giustificato motivo soggettivo. Diversamente sarebbe per il caso di giustificato motivo oggettivo (i cosiddetti motivi economici). In questo caso, toccherebbe al giudice decidere tra il reintegro e l’equo indennizzo.
Aspettiamo dunque l’incontro, probabilmente decisivo di martedi prossimo.
Lasciatemi auna piccola riflessione: se una buona riforma del lavoro deve avere come corrispettivo una modifica all’art 18, beh, ben venga tutto questo.
Sappiamo tutti cosa significhi per la nostra storia e cultura l’art 18 statuto dei lavoratori ma, diciamoci la verità, molto spesso questo articolo è stato portato come bandiera per “agitare gli animi” e impedire qualsiasi tipo di intervento sul mondo del lavoro.
Ad essere onesti, non credo che la causa e il rimedio della precarietà che ci affligge sia l’art 18 che, a guardar bene, riguarda solo la media e grande impresa. La questione non tange tutto la base lavorativa del nostro paese fatta di piccole realtà aziendali.
La precarietà è stata creata da tutte queste tipologie contrattuali o meglio, dal loro utilizzo abnorme e scellerato, da una riforma parziale e totalmente avulsa dallo spirito della legge Biagi.
Perciò, se il prezzo del cambiamento è questo, io sono favorevole. A condizione però che la riforma sia completa (riferendomi anche agli ammortizzatori sociali) e che, i nostri politici, nell’iter di approvazione, non la snaturino preoccupati come sono, solo di acquisire voti e poco inclini al benessere del paese.