Non versare i contributi al fondo di previdenza complementare scelto dal lavoratore, oltre naturalmente alla previdenza obbligatoria, configura una violazione di legge. Ne consegue che l’azienda rischia il recupero degli sgravi contributivi eventualmente fruiti in applicazione dell’art. 1, co. 1175, della L. n. 296/2006. Inoltre, in relazione ai versamenti che il datore di lavoro non abbia effettuato, non è possibile adottare la diffida accertativa di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004.
Ciò in relazione al fatto che la norma citata fa riferimento ai “crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro”. Nel caso in esame, invece, il creditore dell’obbligazione contributiva non è il lavoratore ma il fondo di previdenza complementare, poi tenuto all’erogazione in suo favore della prestazione previdenziale. A specificarlo è l’INL con la Nota n. 1436 del 17 febbraio 2020.
Previdenza complementare: cos’è e come funziona
I lavoratori che intendono incrementare il futuro assegno pensionistico, possono aderire alla cd. “previdenza complementare”. Trattasi, in poche parole, di un sistema di previdenza privata che consente di integrare la pensione obbligatoria (o pensione di base) con versamenti volontari.
Ad oggi è possibile usufruire di tante forme di previdenza complementare, a partire dai classici Fondi pensione fino ai cd. “PIP” (Piano Individuale Pensionistico). Lo scopo comune è quello di raccogliere il risparmio degli iscritti e valorizzarlo attraverso dei rendimenti ottenuti sui mercati finanziari.
Previdenza obbligatoria e complementare: la differenza
Qual è, quindi, la differenza tra le due forme di previdenza. La questione è stata affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 4684/2015. In particolare, la previdenza obbligatoria ha carattere necessario e non eludibile delle tutele; la previdenza integrativa, al contrario, ha natura eventuale.
Riguarda, infatti, prestazioni aggiuntive rivolte a vantaggio esclusivo delle categorie di lavoratori aderenti ai patti incrementativi dei trattamenti ordinari.
La natura privatistica della previdenza integrativa emerge:
- dal meccanismo di adesione del lavoratore, che è libero e volontario;
- dalle modalità di alimentazione del fondo, al quale contribuiscono i destinatari della prestazione ed il datore di lavoro.
Adempimenti del datore di lavoro per la Previdenza complementare
A seguito dell’adesione, da parte del lavoratore, a una forma pensionistica complementare, scatta l’obbligo contributivo dello stesso a favore del medesimo fondo, secondo le previsioni della fonte collettiva applicabile.
Si ricorda, al riguardo, che le modalità e misura minima della contribuzione a carico del datore di lavoro e del lavoratore possono essere fissati dai contratti e dagli accordi collettivi, anche aziendali.
In caso di mancato versamento di parte dei contributi previsti al fondo prescelto, si determina un inadempimento contrattuale del datore di lavoro. Il lavoratore, quindi, potrà agire innanzi al giudice civile per la tutela della propria posizione contrattuale.
Versamento contributi alla previdenza complementare: aspetti ispettivi
Dal punto di vista ispettivo, l’INL ricorda che il contributo integrativo posto a carico del datore di lavoro dai contratti e accordi collettivi ha natura esclusivamente previdenziale e non retributiva. Al riguardo, le Sezioni Unite n. 4684 del 9 marzo 2015 hanno precisato che l’obbligo del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, nasce da un ulteriore rapporto contrattuale, distinto dal rapporto di lavoro subordinato.
In altri termini, il beneficio derivante al lavoratore dal rapporto di previdenza integrativa non è costituito dai versamenti effettuati dal datore di lavoro, ma dalla pensione che, anche sulla base di tali versamenti, lo stesso potrà percepire.
Inoltre, la contribuzione datoriale non entra direttamente nel patrimonio del lavoratore interessato, il quale può solo pretendere che tale contribuzione venga versata al soggetto indicato nello statuto. Il lavoratore, infatti, non riceve tale contribuzione alla cessazione del rapporto, essendo solo il destinatario di un’aspettativa al trattamento pensionistico integrativo.
Quindi, se è vero che il rapporto di previdenza integrativa ha come necessario presupposto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, è anche vero che l’obbligo del versamento del contributo a carico del datore di lavoro non si pone nei confronti del lavoratore bensì nei confronti del fondo che è poi onerato della erogazione della relativa prestazione.
Omesso versamento alla previdenza complementare
Sulla base di quanto finora affermato, l’INL stabilisce l’impossibilità di adottare la diffida accertativa di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004 in relazione ai versamenti che il datore di lavoro non abbia effettuato.
Ciò in relazione anche al fatto che la norma citata fa riferimento ai “crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro”. Nel caso in esame, invece, il creditore dell’obbligazione contributiva non è il lavoratore ma il fondo di previdenza complementare, poi tenuto all’erogazione in suo favore della prestazione previdenziale.
Nota INL n. 1436 del 17 febbraio 2020
Di seguito alleghiamo la nota INL in oggetto.
INL, Nota n. 1436 del 17 febbraio 2020 (354,8 KiB, 313 hits)