Con una recente sentenza, la Corte Costituzionale ha stabilito che per accedere al Reddito di cittadinanza non era necessario aver vissuto in Italia per dieci anni: ne bastano cinque. Una decisione importante, che può avere effetti anche su altre prestazioni INPS.
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare del Reddito di cittadinanza, nonostante la misura sia stata abrogata dal 1° gennaio 2024. A riaccendere il dibattito è stata la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 31/2025, depositata il 20 marzo. La Consulta ha dichiarato eccessivo il requisito dei dieci anni di residenza in Italia per poter ricevere il Rdc, riducendolo a cinque anni.
Ma non si tratta solo di una questione formale. Questa decisione può incidere anche sull’accesso ad altre prestazioni pubbliche simili, come ad esempio quelle legate alle politiche attive del lavoro o al nuovo Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL).
Non assistenza, ma politica attiva per il lavoro
Secondo la Corte, il Reddito di cittadinanza non era una misura puramente assistenziale. Non serviva soltanto a garantire un reddito minimo, ma puntava a favorire l’inserimento lavorativo e sociale di chi si trovava in difficoltà economica.
Il Rdc, infatti, era legato a obblighi precisi: iscrizione ai centri per l’impiego, partecipazione a corsi di formazione, accettazione di offerte di lavoro congrue. Non si trattava, quindi, di un aiuto automatico, ma di una misura condizionata, pensata per accompagnare la persona verso l’autonomia.
Perché il requisito dei 10 anni è stato bocciato?
La Corte ha ritenuto che chiedere dieci anni di residenza continuativa fosse una soglia troppo alta e non coerente con lo spirito della misura. In pratica, si impediva a molti cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia di accedere a un sostegno pensato proprio per chi è in difficoltà, anche se erano pienamente inseriti nel tessuto sociale e lavorativo.
Secondo i giudici costituzionali, il requisito dei dieci anni violava i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, previsti dall’articolo 3 della Costituzione. Al suo posto, è stato indicato un limite più equilibrato: cinque anni di residenza legale, considerato più adatto e già presente nell’ordinamento in altri contesti.
Vale solo per il Reddito di cittadinanza?
No, ed è questo l’aspetto più interessante. Anche se la sentenza riguarda una misura che oggi non esiste più, il principio espresso dalla Corte può valere anche per altre prestazioni, soprattutto quelle che – come il Rdc – non sono assistenza pura, ma strumenti legati all’inclusione lavorativa.
Pensiamo ad esempio al Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL), oggi attivo, o ad altre misure gestite dall’INPS che prevedono condizioni simili. Se anche in questi casi si chiedesse un requisito di residenza troppo lungo, la Corte potrebbe intervenire allo stesso modo.
Quali prestazioni INPS potrebbero beneficiare di questa sentenza?
Ecco un elenco di prestazioni non assistenziali dell’INPS che, in base alla logica della sentenza, potrebbero essere interessate da una riduzione del requisito di residenza:
- Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL)
- NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego)
- DIS-COLL (Indennità di disoccupazione per collaboratori)
- Indennità per lavoratori autonomi in caso di cessazione attività
- Assegno di integrazione salariale (FIS)
- Cassa integrazione guadagni (ordinaria e straordinaria)
- Bonus assunzioni e incentivi all’occupazione
- Alcuni interventi del Fondo nuove competenze
Si tratta di misure che non hanno una finalità puramente assistenziale, ma che mirano a sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro, la formazione professionale o il reddito in presenza di eventi lavorativi temporanei.
Discriminazione alla rovescia evitata
Infine, la Corte ha voluto chiarire un punto importante: mantenere il limite dei dieci anni solo per alcuni cittadini – come quelli dell’Unione europea – avrebbe creato una discriminazione alla rovescia, perché i cittadini di Paesi terzi erano già stati esclusi da questa soglia dalla Corte di giustizia europea. Ora, invece, la regola dei cinque anni si applica a tutti, italiani e stranieri.
Conclusione e allegati
La sentenza della Corte Costituzionale non cambia solo le carte in tavola per chi, in passato, non ha potuto accedere al Reddito di cittadinanza. Apre anche la strada a una riflessione più ampia su quali limiti possono essere imposti per accedere alle prestazioni pubbliche, soprattutto quando si parla di misure non assistenziali.
Il messaggio è chiaro: chiedere un radicamento sul territorio è legittimo, ma va fatto con equilibrio e buon senso. Dieci anni sono troppi. Cinque possono bastare.
Alleghiamo infine il testo della sentenza e il comunicato della Consulta per maggiori approfondimenti.
Consulta, Comunicato del 20 marzo 2025 (98,9 KiB, 15 hits)
Consulta, Pronuncia 31 - 2025 (131,6 KiB, 32 hits)
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