Uno scivolone non da poco quello fatto dal Ministro del lavoro Fornero in un’intervista al Wall Street Journal. Il super ministro, a proposito della riforma del lavoro che, proprio in queste ore sta ottenendo le ultime fiducie del Parlamento Italiano, ha infatti dichiarato: “il lavoro non e’ un diritto, va guadagnato anche con il sacrificio. Stiamo cercando di proteggere le persone, non i loro posti. L’attitudine delle persone deve cambiare”.
Salvo ovviamente poi precisare il tiro e correggersi: “Il diritto al lavoro non è mai stato messo in discussione. Ho fatto riferimento alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro, come sempre sottolineato in ogni circostanza”.
Vorrei ricordare al Ministro che il suo primo atto dopo la nomina è stato di giurare sulla Costituzione della Repubblica Italiana; Costituzione che all’art 1, nel definire che tipo di Stato è l’Italia, stabilisce che:
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Fu il democristiano Amintore Fanfani a presentare la formula attuale che fu appoggiata dal Partito Comunista Italiano e dal Partito Socialista Italiano. Prima di arrivare alla forma tuttora vigente, vennero esposte varie proposte. La prima, presentata dal deputato Mario Cevolotto ometteva la formula “…fondata sul lavoro” e venne presentata il 28 novembre 1946. Questa, però, non piacque alla quasi totalità dei membri dell’Assemblea e venne definita algida e carente dei tratti precisi del nascente Stato Italiano. Fu Aldo Moro a chiedere di inserire un riferimento al lavoro. (fonte wikipedia).
Ma non solo. Per meglio specificare il concetto di Repubblica fondata sul lavoro, i nostri Padri costituenti hanno inserito nella Carta costituzionale anche l’art 4:
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Nulla da aggiungere e da commentare. Gli articoli della Costituzione sono chiari e inequivocabili. Il lavoro è un diritto di ogni cittadino italiano, certo sicuramente non è un diritto soggettivo nella definizione classica del termine ma, è una norma programmatica che impegna il Legislatore a promuovere le condizioni che rendano effettivo tale diritto. E’ al cittadino che è attribuito il diritto dovere, attraverso il lavoro, di concorrere allo sviluppo del proprio futuro e di quello della nazione. E’ attraverso il diritto al lavoro che l’uomo concorre allo sviluppo della propria dignità e della dignità della colettività cui appartiene.
Dunque caro Ministro, non so ancora bene se la sua riforma sia o no una buona riforma; sarà il tempo a giudicare. So solo che tutte le classi politiche che si sono susseguite nel tempo, hanno di fatto, svuotato il contenuto di questi due articoli della Costituzione. Che più che un diritto, il lavoro è diventato un lusso concesso a pochi e, ancor meglio se sono “figli di papà”. Che di sacrifici noi italiani ne facciamo fin troppi e voi politici e/o tecnici fin troppo pochi.
Abbiamo provato tutti sulla nostra pelle che, le parole scritte nella nostra bella Costituzione sono, in alcuni casi come questo, belle parole di una bella fiaba oggi più che mai irreale. Pertanto, una cosa le chiedo: perlomeno non insulti anche la nostra intelligenza!