Intorno alla parità salariale si discute attualmente molto sul fronte del lavoro: in Italia, ma questo accade anche in altri paesi europei, si rileva una differenza di salario, oltre che a livello di opportunità di lavoro, tra la componente maschile e femminile della popolazione.
Queste differenze sono riscontrabili direttamente in busta paga, poiché i salari degli uomini sono mediamente superiori rispetto a quelli delle donne. L’Unione Europea recentemente ha approvato una nuova direttiva che riguarda da vicino la trasparenza salariale, che contiene diverse regole che tutti gli stati dell’UE dovranno applicare entro il 7 giugno 2026.
In quest’ottica il tema della parità di genere è particolarmente importante, perché la trasparenza salariale consentirebbe una maggiore equità, sul lavoro, tra lavoratori e lavoratrici. Vediamo nel dettaglio cosa cambia a questo proposito con la nuova direttiva.
Parità salariale: tutti i dati
La parità salariale o parità di genere è un tema piuttosto delicato e attuale, e negli ultimi anni le attenzioni dell’opinione pubblica e dei governi sono sempre più orientate a questa tematica. Le differenze sostanziali di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici coinvolgono più o meno tutta l’Europa, inclusa l’Italia.
Per dare qualche dato di riferimento, al momento un lavoratore impegnato in una posizione di tipo manageriale guadagna mediamente 32,43 euro all’ora, mentre una lavoratrice, impegnata nel medesimo ruolo, ha un guadagno orario medio di 22,37 euro all’ora.
La busta paga dei lavoratori in questo senso è molto diversa da quella delle lavoratrici, con un divario che si può evidenziare in diversi settori professionali e lavorativi. Andando ad esaminare anche l’aspetto che riguarda il lavoro autonomo, un professionista con Partita Iva guadagna in media 24 euro all’ora, mentre una professionista arriva a guadagnare 19 euro l’ora.
Senza contare che un altro problema diffuso è il difficile accesso per le donne a ruoli di direzione e manageriali, per cui prevalentemente sono impiegati i colleghi uomini. Le opportunità per le lavoratrici di sviluppare una carriera non sono le stesse dei colleghi uomini. Inoltre, il tasso di disoccupazione in Italia rileva una maggioranza di donne senza lavoro.
L’UE introduce la trasparenza salariale
Di fronte a questi dati, l’Unione Europea ha dato precise indicazioni per tutti gli stati membri per intervenire sul lavoro, portando una maggiore equità tra la componente maschile e femminile dei lavoratori. La direttiva 2023/970 prende in considerazione il tema della trasparenza salariale, per mettere in luce le differenze e porvi un rimedio.
Il Consiglio Europeo ha deciso di intervenire sulla differenza retributiva, con un testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 17 maggio 2023. Tutti gli stati membri dovranno adeguarsi a queste nuove norme entro giugno 2026, stabilendo precise direttive per tutti i datori di lavoro.
L’UE introduce il concetto di trasparenza dei salari, in modo da garantire un pari trattamento tra lavoratrici e lavoratori, a parità di competenze, ruolo ricoperto e mansioni svolte. Questa direttiva verrà applicata dai paesi membri, quindi arriverà anche in Italia, in modo da favorire la parità di genere sul posto di lavoro, e per i professionisti.
Ma non solo, perché la nuova direttiva tratta anche alcuni punti importanti su una maggiore tutela dei lavoratori a tutto tondo, parlando di trasparenza salariale anche al momento precedente rispetto all’assunzione.
Trasparenza salariale all’assunzione: le direttive
Secondo le direttive dell’intervento dell’UE, la trasparenza salariale non riguarderà solamente la parità di genere, ma anche diversi aspetti intorno a cui si svolgono le attività lavorative. In primo luogo, i datori di lavoro dovranno comunicare in modo trasparente qual è la paga prevista già in sede di colloquio, ovvero in un momento precedente all’assunzione.
In questo modo i lavoratori potranno già conoscere, prima di accettare l’incarico, quale sarà lo stipendio erogato dall’azienda. Questa trasparenza riguarderà tutti gli ambiti di lavoro e tutti i tipi di contratti, e oltre alle informazioni che riguardano la retribuzione, dovrà esservi trasparenza anche per i criteri adottati dall’azienda per la progressione economica.
I lavoratori potranno inoltre conoscere tutte le informazioni che riguardano le retribuzioni corrisposte ai colleghi che svolgono lo stesso lavoro, o una mansione con lo stesso valore. Le aziende dovranno monitorare l’effettiva differenza di retribuzione tra uomini e donne, e apporvi dei correttivi, soprattutto se il gap è superiore al 5%.
Viene evidenziata dalla direttiva UE anche una maggiore tutela dei diritti dei lavoratori, anche in un momento successivo al termine del rapporto di lavoro, l’eventuale diritto al risarcimento nel caso di un danno subito, oltre all’inversione dell’onere della prova.
Inversione dell’onere della prova: le disposizioni UE
L’Unione Europea con la sua direttiva sulla trasparenza salariale introduce anche l’inversione dell’onere della prova, in caso di differenza retributiva tra lavoratori o nel caso di discriminazioni salariali. Questo significa che, a differenza di quanto accade oggi, saranno i datori di lavoro a dover provare che non sono state applicate discriminazioni.
Nel caso di evidenti discriminazioni, l’azienda può essere multata, e il lavoratore può accedere ad un risarcimento. Queste nuove regole europee hanno l’obiettivo di garantire non soltanto il raggiungimento della parità salariale di genere, ma anche un’attenzione maggiore alla trasparenza e all’equità dei salari.
Ogni stato membro dovrà quindi adeguarsi entro il 2026, applicando le proprie disposizioni per seguire le direttive europee. Al momento non è ancora chiaro come l’Italia recepirà queste nuove norme, per realizzare nella pratica le indicazioni, per cui è ancora necessario aspettare appositi interventi.
Ricordiamo che attualmente in Italia esiste per le aziende la possibilità di accedere ad una Certificazione di Parità di Genere, che consente anche di attingere ad alcune agevolazioni fiscali e contributive. Per aderirvi, le imprese devono dimostrare di applicare strategie e politiche volte a tutelare la parità di genere e a consentire un accesso al mercato del lavoro meno difficoltoso per le donne.