La riforma del lavoro, L. nr. 92/2012 ha modificato la disciplina dei licenziamenti individuali compreso la disciplina relativa alla tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo ( con forti modifiche all’art. 18 Statuto dei lavoratori), prevedendo una riduzione dell’area della tutela reale.
Prima della riforma infatti, nel caso di licenziamento illegittimo (ossia in assenza di giusta causa o giustificato motivo), il giudice del lavoro, ordinava il reintegro nel posto di lavoro. Dopo la riforma, la reintegra nel posto di lavoro non è più automatica ma, la tutela del lavoratore cambia a seconda dei casi:
- licenziamento discriminatorio: che è sempre nullo e comporta la reintegrazione con risarcimento pari a tutte le mensilità perdute ed ai contributi on versati;
- licenziamento disciplinare (ossia determinato da giusta causa o giustificato motivo soggettivo): in questo caso, se il fatto non sussiste, o il lavoratore può essere punito con una sanzione di altro tipo, il giudice può decidere se ordinare la reintegrazione con risarcimento al massimo di 12 mensilità, oppure il pagamento di un’indennità risarcitoria, tra le 12 e le 24 mensilità.
- licenziamento economico ossia inerente l’attività produttiva: se il Giudice ravvisa l’inesistenza del motivo può condannare l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria che va da 12 a 24 mensilità. Se ritiene che l’atto è “manifestamente infondato”, applica la stessa disciplina della reintegrazione dovuta per il licenziamento disciplinare.
Questi tre tipi di licenziamento verranno trattati separatamente. Ora vediamo come cambia la disciplina generale dettata dalla L. nr. 604/66, in materia di licenziamenti individuali.
Il comma 37 art 1 della riforma, modificando l’articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966, dispone che la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi (mentre la norma previgente prevede che il datore di lavoro è tenuto a comunicare i motivi solo su richiesta del lavoratore).
Inoltre, viene accorciato il termine previsto dall’art 6 della L. nr. 604/66, entro il quale, pena l’inefficacia dell’impugnazione del licenziamento, deve essere depositato il ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o deve essere comunicata alla controparte la richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato.
Tale termine passa dai previgenti 270 giorni agli attuali 180. Questo nuovo termine si applica ai soli licenziamenti intimati dopo la data di entrata in vigore della legge.
Procedura di conciliazione davanti alla Commissione provinciale di conciliazione
La vera novità introdotta dalla riforma del lavoro Fornero è la procedura di conciliazione davanti alla Commissione provinciale di conciliazione presso la Direzione territoriale del lavoro, che, i datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli), devono obbligatoriamente fare prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia il licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa). (co 1 art. 7 L. nr. 604/66)
Questo è quanto disposto dal comma 40 art. 1 della riforma che, sostituisce l’articolo 7 della legge n. 604/1966 e, si configura, quindi, come condizione di procedibilità. Il nuovo art 7 dispone inoltre che:
2. Nella comunicazione, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.
4. La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
6. Tale procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.
7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro di cui al comma 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni.
Il comma 41 prevede che il licenziamento intimato all’esito di questo procedimento, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva.
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