Nuovo intervento da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro che interviene sulla norma che vieta a datori di lavoro ed i committenti di pagare le retribuzioni in contanti. Il divieto, in vigore dal 1° luglio 2018, impone i datori di lavoro di pagare stipendi e compendi, nonchè gli acconti, con mezzi e sistemi tracciabili gestiti da banche o uffici postali. Il documento di prassi, Nota numero 5828/2018, include tra gli strumenti di pagamento elettronici anche le carte prepagate e non solo. Nel caso dei soci lavoratori di cooperative la ratio della norma include altresì i versamenti effettuati sul “libretto del prestito”.
Altre interessanti novità giungono anche sull’applicazione delle sanzioni in caso di violazione della norma. In sostanza, viene chiarito che la sanzione da 1.000 a 5.000 euro riguarda i mesi violati e non il numero dei lavoratori interessati dalla violazione.
Buste paga tracciate: gli strumenti telematici ammessi
Come appena affermato, a far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti sono tenuti per legge a corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:
- bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- è possibile pagare gli stipendi in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni.
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Pagamento dello stipendio con ricarica postepay
Tra gli elencati mezzi di pagamento, l’INL ha inteso fa rientrare anche la postepay; sono ammessi i pagamenti delle retribuzioni con ricarica postepay, ovvero sulle carte di credito prepagate anche senza IBAN (come ad esempio la postepay), purché le stesse siano intestate al lavoratore.
In tal caso quindi non è necessario che la stessa sia collegata ad un codice Iban; unico obbligo da parte del datore di lavoro è quello di conservare le ricevute di versamento. Questo anche ai fini della loro esibizione quando si presenteranno gli ispettori del lavoro.
Pagamento delle retribuzioni su libretto del prestito
Oltre alla carta prepagata, l’INL ha incluso tra i mezzi di pagamento ammessi anche il “libretto del prestito”; questo in relazione a soci lavoratori di cooperativa che siano anche “prestatori” (ovvero intrattengano con la cooperativa un rapporto di prestito sociale). Lo strumento di pagamento – spiega l’INL – è ammesso a condizione che:
- tale modalità di pagamento sia stata richiesta per iscritto dal socio lavoratore “prestatore”;
- il versamento sia documentato nella “lista pagamenti sul libretto” a cura dell’Ufficio paghe e sia attestato dall’Ufficio prestito sociale che verifica l’effettivo accreditamento il giorno successivo alla sua effettuazione.
Divieto di pagare le retribuzioni in contanti: cosa si rischia?
Laddove il datore di lavoro sia colto a pagare le retribuzioni in contanti, ovvero la corresponsione dell’importo contenuto nella busta paga sia effettuata con modalità diverse da quelle appena elencate, sono previste pesanti sanzioni.
Lo stesso vale qualora il datore di lavoro utilizzi uno dei mezzi telematici ammessi, ma il pagamento non sia realmente effettuato; si pensi ad esempio alla successiva evoca di un bonifico bancario o all’annullamento di un assegno prima dell’incasso. In questi casi si rischia una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 1.000 euro a 5.000 euro.
La sanzione – come spiegato da dall’INL con la Nota n. protocollo n. 4538 del 22 maggio 2018 – non è diffidabile. Ciò in considerazione del fatto che l’illecito non è materialmente sanabile. Ragione per cui la sanzione sarà determinata nella misura ridotta di un terzo, pari a 1.667 euro (cioè 1/3 del massimo) da versare entro 60 giorni dalla notifica del verbale di violazione. Il verbale può essere impugnato, entro 30 giorni, con ricorso amministrativo al direttore della sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro.
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Al riguardo, con il nuovo documento di prassi l’INL ha chiarito che il regime sanzionatorio non dipende dal numero dei lavoratori, bensì dai mesi violati.
Quindi, se ad esempio si viola la norma per 3 mesi in relazione a 2 lavoratori, la sanzione da pagare sarebbe 1.666,66 euro moltiplicato per che sono i mesi, quindi 5.000 euro massimi.
Se nel caso in esempio la violazione riguardava un numero minore o maggiore di lavoratori, il calcolo non avrebbe subito variazioni.
Nota INL 4 luglio 2018, numero 5828
Infine alleghiamo il testo della Nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro numero 5828 del 4 luglio 2018.
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