È possibile emettere una diffida accertativa per crediti patrimoniali derivanti dalle differenze retributive maturate in ragione della unilaterale riduzione dell’orario di lavoro da parte datoriale? A questo interrogativo ha risposto l’INL con la Nota n. 441 del 17 marzo 2021. Innanzitutto, viene specificato che le differenze retributive richieste dal lavoratore non sono diretta conseguenza della prestazione lavorativa ma di un eventuale inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. ascrivibile al datore di lavoro.
Quest’ultimo, infatti, unilateralmente e senza la necessaria forma scritta, avrebbe ridotto l’orario lavorativo ed il conseguente trattamento retributivo del dipendente. Ciò non consente, quindi, al lavoratore di rendere a pieno la sua prestazione e di riceverne quanto contrattualmente previsto.
Diffida accertativa per crediti patrimoniali per riduzione orario
La fattispecie in oggetto riguarda una tipologia di crediti di natura risarcitoria che esula dall’ordinario ambito di applicazione della diffida accertativa. Sul punto, infatti, la Cassazione ha affermato che nell’ambito di un contratto di lavoro part-time la trasformazione dell’orario di lavoro può derivare solo da un accordo scritto tra le parti. Al contrario, nel caso in cui il contratto sia a tempo pieno, l’accordo di modifica dell’orario, per il quale non è prevista una forma scritta ad substantiam, potrà essere provato anche attraverso comportamenti concludenti.
Pertanto, l’accertamento in ordine alla sussistenza ed alla quantificazione di questo tipo di rivendicazioni economiche del lavoratore deve essere di esclusiva pertinenza dell’autorità giudiziaria.
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Impedimento della decadenza con atto stragiudiziale
Nel documento di prassi, l’INL richiama anche la possibilità di emettere una diffida accertativa oltre il termine di legge, nei casi in cui il lavoratore abbia inteso impedire la decadenza legale attraverso l’invio al committente di un atto di diffida stragiudiziale.
In pratica, esistono due regimi separati dei termini sul recupero delle spettanze retributive e contributive in ragione del soggetto, privato o pubblico, che intraprende l’iniziativa:
- il primo regime riguarda l’azione rimessa alla volontà del lavoratore che, unitamente ed al pari dei crediti retributivi, può rivendicare anche quelli contributivi a condizione che agisca nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto;
- il secondo, attinente solo alla parte contributiva, riguarda la diversa azione di recupero rimessa all’iniziativa dell’ente previdenziale che, invece di essere sottoposta al predetto termine decadenziale, è soggetta all’ordinario termine prescrizionale di 5 anni.
Si ricorda, al riguardo, che la decadenza non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto.
A caratterizzare l’istituto della decadenza, oltre che a differenziarlo da quello della prescrizione, interviene l’art. 2964, comma 1, ai sensi del quale viene disposto che:
“quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza, non si applicano le norme relative all’interruzione della prescrizione”.
Solo in caso di assenza di intervenuta prescrizione
In definitiva, afferma l’INL, la decadenza può essere impedita dall’iniziativa del lavoratore intrapresa nel suddetto termine biennale attraverso:
- il deposito del ricorso giudiziario;
- un prodromico atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente.
Infine, va evidenziato che, ai sensi dell’art. 2967 cod. civ., “nei casi in cui la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni che regolano la prescrizione.
Pertanto, a seguito della notifica dell’atto in questione, sarà possibile emanare la diffida accertativa avendo cura tuttavia di verificare l’assenza di una intervenuta prescrizione. Inoltre, rimangono ferme le ordinarie condizioni di certezza, liquidità ed esigibilità del credito.