Com’è noto, la legge sulle linee guida all’esercizio della professione di avvocato prevede il divieto per gli stessi di prestare al contempo lavoro di tipo subordinato. Quindi, non è possibile per gli iscritti all’Albo forense lavorare ad esempio come dipendenti negli studi legali ovvero sotto altri avvocati con regolare partita IVA.
Tutto questo è destinato (forse) a cambiare. Infatti, è attualmente all’esame della Commissione giustizia il disegno di legge n. 428. Il Ddl prevede espressamente la volontà di eliminare tout court la predetta incompatibilità: ossia l’impossibilità per un avvocato di avere alle sue dipendenze un altro avvocato. In questo modo, verrebbe di fatto regolarizzata dalla legge tutti quei avvocati che già collaborano in mono committenza all’interno di studi legali.
Avvocati dipendenti negli studi legali: la ratio della norma
Finora l’Organo forense ha da sempre privilegiato la necessità di tutelare gli avvocati inseriti fattivamente presso altri studi legali, che svolgono un vero e proprio lavoro di tipo subordinato. La Partita iva, in questi casi, nasconde spesso e volentieri la vera natura del rapporto di lavoro, che nella maggior parte dei casi è caratterizzata da compensi al di sotto dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Da tale contesto, nasce l’esigenza primaria di tutelare tali posizioni, introducendo il comma 3-bis all’interno dell’art. 19 della Legge n. 247/2012, che sancisce per l’appunto l’abrogazione della predetta incompatibilità. In particolare, all’art. 1 del disegno di legge è previsto espressamente che l’incompatiblità non si verifica allorquando gli avvocati svolgono attività di lavoro dipendente o parasubordinato in via esclusiva presso:
- lo studio di un altro avvocato;
- un’associazione professionale;
- ovvero una società tra avvocati o multidisciplinare.
L’incompatibilità vige soltanto se la la natura dell’attività svolta dall’avvocato riguardi esclusivamente quella riconducibile all’attività propria della professione forense.
Tutela dell’avvocato dipendente nello studio legale: il disegno di legge
Grazie al Ddl gli avvocati potranno finalmente godere di tutte quelle tutele previste nei contratto collettivo nazionale di lavoro. Se il CCNL applicato non fissa il compenso, quest’ultimo è comunque proporzionato alla quantità e alla qualità della prestazione da eseguire. A tal fine, bisogna avere contezza dell’impegno temporale richiesto da essa e alla retribuzione prevista dal CCNL applicabile al committente; con riferimento alle figure professionali di competenza e di esperienza analoghe a quelle dell’avvocato.
Il Ddl, inoltre, all’art. 2 stabilisce che entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della giustizia, hanno il compito di adottare alcuni decreti per:
- stabilire l’obbligo da parte della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense di determinare gli importi e le modalità di versamento della contribuzione per gli avvocati con contratto di lavoro subordinato o parasubordinato. Al riguardo, l’obbligo previdenziale deve essere per almeno i due terzi a carico del datore di lavoro che, in qualità di sostituto d’imposta, è tenuto a effettuare anche le operazioni di conguaglio fiscale e previdenziale;
- definire i parametri in base ai quali considerare una mono committenza come lavoro subordinato o come lavoro parasubordinato, ovvero come lavoro autonomo. A tal fine, i criteri da utilizzare come indicatori sono:
- la durata temporale del rapporto,
- la presenza di una postazione fissa presso il datore di lavoro o il committente,
- la partecipazione ai risultati economici dell’attività,
- la previsione e l’eventuale indennizzo di clausole di esclusività.
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