È vietato esercitare attività di culto da parte delle associazioni di promozione sociale negli immobili non a norma con la regolamentazione urbanistica. Infatti, le predette associazioni non possono arbitrariamente decidere di insediare un luogo di culto in maniera continua, e quindi non occasionale o precario, in aree e territori comunali. Considerato che tali luoghi non sono vocati, si ritiene che la predetta condotta è urbanisticamente non corretta.
Il chiarimento è giunto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la Nota protocollo n. 3743 del 15 aprile 2019, in risposta a un quesito avanzato dalla Direzione Generale Cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia Romagna. La richiesta di parere giunge a seguito di un controllo formale su alcune associazioni di promozione sociale che, pur non prevedendolo espressamente nell’atto costitutivo o nello statuto, svolgono attività di culto in modo promiscuo con attività di promozione sociale. Ciò rappresenta un problema di non poco conto, soprattutto qualora le attività di promozione sociale con dimostrano idoneamente un legame con le attività di culto. Si rischierebbe, così, di consentire un utilizzo del tutto strumentale ed opportunistico della normativa (D.Lgs. n. 117/2017).
Associazioni di promozione sociale e attività di culto: il quesito
La richiesta di parere si fonda su tre quesiti:
- innanzitutto, si chiede se le attività di culto rientrano tra le attività diverse di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 117/2017, qualora siano previste negli atti costitutivi o negli statuti delle associazioni di promozione sociale;
- inoltre, viene chiesto se le associazioni di promozione sociale e gli Enti del Terzo settore devono comunque iscriversi nel Registro, qualora svolgono attività di culto (seppur non in maniera prevalente);
- e infine, il Ministero del Lavoro è stato interrogato in merito all’applicabilità o meno della misura di favore dell’art. 71 del D.lgs. n. 117/2017, in caso di uso promiscuo tra attività di culto e di promozione sociale.
Cosa s’intende per attività di culto?
Per rispondere ai quesiti posti, il Ministero del Lavoro parte dalla definizione di “attività di culto”. Con tale termine s’intende la “pratica religiosa esteriore riservata ai credenti di una determinata fede”. Quindi, riguarda, in senso non tassativo, “la celebrazione di funzioni religiose riservate ai credenti di una determinata fede, la diffusione del relativo credo, la formazione degli aderenti e dei ministri religiosi”.
Non rientrano in tali tipologie di attività le celebrazioni occasionali. Al contrario, rientrano tra le attività di culto, ad esempio:
- le celebrazioni ricorrenti e sistematiche, quotidiane o in giorni fissi;
- orari predefiniti di funzioni religiose e a carattere confessionale.
Compatibilità tra attività di culto e attività diverse degli Entro del terzo settore
Alla luce di quanto appena affermato, il Ministero del Lavoro ritiene che le attività di culto non possono essere collocate tra le attività diverse previste dagli Enti del Terzo settore. Le attività di culto, infatti, nulla hanno a che vedere con quelle disciplinate dal Codice del Terzo settore (D.Lgs. n. 117/2017). Ciò in relazione anche al fatto che non è dato allo Stato di interferire in un ordine che non è il suo, se non ai fini e nei casi espressamente previsti dalla Costituzione.
L’ente religioso, quindi, è tenuto a esercitare le attività di culto nell’osservanza della disciplina propria degli enti religiosi. Di conseguenza, le stesse resteranno estranee all’ambito del Terzo settore e all’esercizio delle attività proprie di tali enti.