Oggi lo smart working è una realtà consolidata per PA e aziende italiane. Semi sconosciuto prima del 2020, a seguito della pandemia la sua diffusione è stata enorme. E a quanto pare, come vedremo meglio nel corso di questo articolo, il lavoro agile ha soddisfatto un alto numero di lavoratori, che vorrebbero continuare con questa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria.
Nel corso della fase più acuta dell’emergenza, come ha rilevato la ricerca dell’Osservatorio Smart Working, nel corso del 2020 il lavoro a distanza ha coinvolto il 97% delle grandi imprese; il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI. Un totale di 6,58 milioni di lavoratori hanno sperimentato la modalità di lavoro a distanza, ossia circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani. Ben 10 volte più dei 570mila censiti nel 2019, a testimonianza del boom dello smart working lo scorso anno.
In quest’ultimo periodo, i lavoratori di tantissime aziende – da quelle più piccole a quelle più grandi – e i dipendenti pubblici hanno così conosciuto un modo di lavorare totalmente differente da quello tradizionale. L’esperienza in questione sembra però aver lasciato un segno positivo, ed oggi in molti si interrogano sulle possibili prospettive di un’adozione definitiva dello smart working nelle aziende e PA. Infatti, sono svariate le realtà che si chiedono se è opportuno continuare con un regime di full smart working o smart working ibrido, che comporta un regime misto tra presenza in ufficio e remote working. Vediamo allora un po’ più nel dettaglio qual è la situazione, alla luce dell’indagine Fim Cisl-Adapt sul tema.
LEGGI ANCHE: Lavoratori no-vax, sì alla sospensione senza paga. La sentenza chiave
Smart working: un nuovo modello organizzativo, con più flessibilità e autonomia
Capire che cos’è in concreto lo smart working non è complesso. Abbiamo di fronte un innovativo modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo e azienda. Comporta autonomia nelle modalità di lavoro, nella gestione di tempi e spazi. Ciò però a fronte della garanzia del raggiungimento dei risultati.
Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, lo Smart Working consiste in una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro dipendente, caratterizzata dalla mancanza di vincoli orari o spaziali. Non solo: vi è un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, fissata su accordo tra dipendente e datore di lavoro. Detta modalità può certamente aiutare il singolo lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, allo stesso tempo, favorisce una miglior performance.
In particolare, l’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Definizione calzante che ben chiarisce in sintesi i tratti essenziali del lavoro a distanza.
Lo smart working ha convinto buona parte dei lavoratori: l’indagine Fim Cisl-Adapt
Vero è che prima della pandemia legata al famigerato coronavirus, la maggior parte dei lavoratori non aveva ancora svolto alcuna attività lavorativa in smart working. In base ai risultati di un’indagine Fim Cisl-Adapt, che ha consentito di conoscere e analizzare le condizioni di lavoro e la percezione dei lavoratori rispetto alle modalità di lavoro a distanza, si può scoprire che oggi più della metà vorrebbe proseguire oltre con lo smart working, anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria in atto.
Insomma, pare che tantissimi lavoratori italiani si siano ormai abituati allo smart working, e la nuova modalità tutto sommato è apprezzata. In base alla ricerca di Fim Cisl-Adapt possiamo notare che per un lavoratore su cinque l’esperienza dello smart working è considerata “ottima”; per oltre la metà è “positiva”; mentre per nessuno è pessima. Non è finita qui: per il 58% del campione analizzato, in futuro sarebbe preferibile un modello ibrido con smart working e lavoro in ufficio.
I numeri della ricerca premiano il lavoro agile
L’indagine svolta da Fim Cisl-Adapt fa riferimento ad un campione di 4mila e 862 questionari compilati e rielaborati da lavoratori del settore metalmeccanico. Il 63% del campione è composto da uomini, mentre il 37% da donne. Si tratta soprattutto di persone diplomate (37%) e laureate (39%). Inoltre, il 38% di chi ha dati risposte al questionario non ha figli; il 56% ne ha uno oppure due. Mentre il 35% ha un’età tra i 45 e i 54 anni.
La più ampia partecipazione all’indagine è giunta dai dipendenti che vivono nelle più popolate città della penisola, come Roma, Milano, Torino, Trieste, Genova e Bologna. Il 62% dei lavoratori è inserito in aziende con più di 500 dipendenti, mentre il 37% lavora a distanza 5 giorni su 5; un altro 12% lavora con modalità smart per 4 giorni.
La ricerca comportava la richiesta della valutazione sull’effettiva efficacia dello smart working, tramite i colori del semaforo. Ebbene, il 45% degli intervistati ha dato una risposta “verde”, ossia positiva. Il 20%, invece, arancione, evidenziando qualche nota stonata; mentre il 35% rossa, notando dunque gravi problemi da risolvere con riferimento alle modalità di lavoro agile.
LEGGI ANCHE: Bonus cashback, quando arrivano i rimborsi? Le date dei rimborsi
Lo smart working anche per il futuro: come sarà organizzato?
I risultati della menzionata ricerca, come accennato, ci dicono che il lavoro agile piace: il 58% del campione ha dato un voto pari o al di sopra dell’8, con soltanto il 9,35% che ha valutato in modo negativo l’esperienza. Anzi, per il 17% dei soggetti che hanno partecipato all’indagine, l’esperienza di smart working è stata svolta con soddisfazione: apprezzata in particolare la possibilità di essere più concentrati e il maggior tempo a disposizione per la propria vita privata. Tuttavia c’è anche qualche critica legata alla mancanza della componente relazionale: infatti, il 10% dei lavoratori ha dichiarato di aver patito la solitudine e l’isolamento dai colleghi. L’aspetto relazionale è stato quello che è mancato al 25% di chi ha lavorato a distanza, tramite la connessione internet.
Concludendo, la via pare tracciata, anche sulla scorta dei dati segnalati. E non stupisce allora che ben il 58% dei lavoratori vorrebbe conservare la possibilità di lavorare in modalità smart working per 2/3 giorni alla settimana. Mentre il 28% vorrebbe essere un lavoratore smart a tempo pieno. Solo il 3% ha detto sì al ritorno al lavoro tradizionale, abbandonando definitivamente il lavora agile. Ecco perchè per il futuro, sembra farsi largo il modello ibrido, idoneo a conciliare al meglio esigenze del lavoratore con quelle aziendali.
Segui gli aggiornamenti su Google News!
Segui Lavoro e Diritti su WhatsApp, Facebook, YouTube o via email