Come abbiamo avuto modo di segnalare più volte in queste pagine, le opportunità di svolgere un concorso pubblico – in quest’ultimo periodo – non sono certamente mancate. Svariate le selezioni previste da un numero consistente di bandi, per posti da assegnare sia a laureati che diplomati. Ciò nonostante, il piano del ministro della Funzione pubblica Brunetta di toccare entro il 2028 la quota di circa 4 milioni di statali sembra in salita.
I dati sono oggettivi e non lasciano spazio a differenti interpretazioni: dei 103mila posti a concorso negli ultime tre anni solo 14.500 unità sono entrate a far parte dell’organico della Pubblica Amministrazione. E non vi è solo il problema di tipo numerico: ad esso si somma infatti anche il fattore anagrafico, che imporrebbe un massiccio turnover. L’obiettivo di abbassare l’età media degli impiegati pubblici a 44 anni sembra al momento di difficile raggiungimento, tenuto conto che l’età media attuale è 50 anni e che i nuovi assunti hanno un’età di poco superiore ai 30 anni.
Un quadro certamente non roseo ed, anzi, secondo il report degli analisti del Fpa – la società che organizza il Forum della PA – gli obiettivi indicati dal ministero della Funzione pubblica, per svecchiare e riqualificare il personale del pubblico impiego in maniera da avere gli strumenti per accogliere e impiegare i fondi del PNRR, sembrano fin troppo ambiziosi rispetto alla situazione attuale del nostro paese.
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Flop concorsi pubblici: il posto fisso non attira più
Non solo. Lo scenario odierno ci indica il crollo del mito del posto fisso che, nel pubblico impiego, non fa più gola come una volta. Anzi, i concorsi pubblici, nonostante il boom di domande e di iscrizioni, rischiano di non portare a tutti quei nuovi inserimenti indicati nei relativi bandi. Molti giovani, anche laddove riescano a vincere il concorso, non di rado optano per la rinuncia all’assegnazione del posto di lavoro.
Le ragioni del no al nuovo contratto sono legate soprattutto a valutazioni di tipo economico. In questo periodo non sono pochi coloro che hanno rinunciato all’assunzione, specialmente al Nord, scegliendo di non prendere servizio a meno che non fosse assicurata una differente sede di lavoro nel meridione. Per coloro che provengono dal Sud Italia, infatti, il trasferimento nel settentrione si rivelerebbe quasi sempre un boomerang, a causa del costo insostenibile della vita – oggi peraltro aggravato dai rincari generalizzati.
Soprattutto pesa il pagamento del canone di affitto nelle grandi città quali Milano o Roma, rispetto al quale l’ammontare dello stipendio previsto per il vincitore del concorso spesso non si rivela sufficiente. Ecco perché molti vincitori di selezioni, originari del Mezzogiorno, hanno preferito rinunciare al contratto piuttosto che dover far i conti con un costo della vita che rappresenta uno scoglio troppo duro.
Ripescaggio in graduatoria per fronteggiare il problema delle rinunce
Per non vanificare l’obiettivo della selezione pubblica, la sola soluzione è quella di scorrere le graduatorie. Infatti, se centinaia e centinaia di persone, pur vincitrici del concorso, scelgono di dire no al posto fisso perché altrimenti non riuscirebbero a sostenere tutti i costi della permanenza in una grande città, non resta che il ripescaggio in graduatoria.
Nell’ipotesi del concorso per funzionari, ad esempio, la RIPAM è stata costretta a sostituire i vincitori rinunciatari con lo scorrimento in graduatoria di ben 574 unità. D’altronde, in caso di rinunce, alternative per selezionare il personale di amministrativi, tecnici e ingegneri, non ve ne sono.
Non sono tuttavia mancate le critiche alle regole dei concorsi pubblici, in tema di assegnazione ‘geografica’. Nei bandi pubblicati in questi mesi i vincitori dovevano scegliere il Ministero ancora prima di poter scegliere il luogo di lavoro, e secondo molti partecipanti l’errore sostanziale è stato quello di non aver dato la possibilità di scegliere la eventuale destinazione, almeno su base regionale.
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Il settore privato batte i concorsi pubblici
Negli ultimi anni la prassi dei concorsi pubblici ha indicato che moltissimi giovani, anche molto preparati e con un CV di tutto rispetto, hanno partecipato più volte a selezioni di vario tipo – ed anche per posti di lavoro a tempo determinato. Vero è però che si tratta di una tendenza che sta ora cambiando. Lo abbiamo accennato sopra: non pochi meridionali, pur vincitori di concorsi, scelgono di non trasferirsi e proseguire il proprio lavoro (precario) al Sud. Infatti è noto che nelle regioni del Mezzogiorno, nonostante gli stipendi meno consistenti, la vita costa molto meno rispetto al Nord.
Insomma, per evitare il flop dei concorsi pubblici occorrerebbe adeguare le retribuzioni al tenore e al costo della vita a livello locale, proprio come già accaduto nel settore privato. In quest’ultimo comparto, non stupisce che i profili di maggior specializzazione e preparazione riescano agevolmente a trovare lavoro; giovandosi di condizioni contrattuali che oggi risultano nettamente migliori rispetto ai salari offerti dalla PA.